L’acqua non trattata e i casi di Sla tra i giocatori del Como: «Predisposizione genetica ma anche fattori di rischio ambientali»

L’esperto Mario Melazzini e lo studio dei casi di Como: «Molti i fattori di rischio ambientale che influiscono. Le conoscenze acquisite sono sempre più essenziali»

Una nuova ricerca ha messo in correlazione la Sla con l’acqua non trattata presente nell’ambiente. La ricerca, pubblicata su Annals of Neurosciences, tenta di trovare una causa, sino ad ora sconosciuta, alla tremenda sclerosi laterale amiotrofica nota sul lago per aver colpito tanti calciatori. Secondo Mario Melazzini, noto medico, malato di Sla, occorre guardare a tanti e diversi fattori ambientali per risalire ai possibili fattori scatenanti.

Evidenze scientifiche

«Studi epidemiologici hanno identificato possibili legami a diverse esposizioni - commenta Mario Melazzini, presidente di Arisla, già assessore regionale e oggi alla guida dell’ospedale Morelli di Sondrio - a traumi meccanici o elettrici, al servizio militare, al fumo, a prodotti chimici agricoli come idrocarburi, pesticidi, solventi, agli alti livelli di attività fisica e a una varietà di metalli pesanti e farmaci. Non esistono tuttavia evidenze scientifiche definitive che dimostrino una diretta associazione. Una possibile spiegazione potrebbe essere che questi fattori di rischio abbiano un effetto cumulativo nell’indebolimento delle cellule nervose, rendendole più suscettibili alla degenerazione».

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La ricerca appena pubblicata si concentra sulle acque grezze presenti nei luoghi di vita e di lavori frequentati dai malati di Sla. L’articolo scientifico è stato firmato da Giuseppe Stipa, dell’ospedale di Terni e dagli esperti dell’Istituto superiore di sanità Antonio Ancidoni, Guido Bellomo e Nicola Vanacore.

Il lavoro da fare sulla Sla resta secondo Melazzini ancora lungo. «L’uomo non è un’entità isolata – dice Melazzini - ma una complessa rete di interazione di fattori genetici, molecolari, fisiologici e ambientali. Così come altre malattie la Sla è considerata una malattia multifattoriale, nella quale, su una determinata predisposizione genetica agiscono numerosi fattori di rischio ambientali. Uno dei fattori di rischio più significativi è la familiarità per la Sla. Nonostante però siano stati scoperti numerosi geni responsabili di varie forme familiari di Sla, la maggior parte dei casi, circa il 90%, insorge in forma sporadica, probabilmente a causa proprio dalla complessa interazione tra predisposizione genetica ed esposizione ambientale».

«Proseguire gli studi»

Per Melazzini non essendo ancora comprese le cause che portano all’insorgenza e alla progressione della Sla è necessario da una parte continuare a studiare i fattori di rischio della malattia, su cui si potrebbe intervenire dal punto di vista della prevenzione. Dall’altra è fondamentale il continuo impegno della comunità scientifica internazionale per comprendere i meccanismi che causano la degenerazione delle cellule nervose, che possono rappresentare il risultato dell’azione di diversi fattori. «Gli studi di base non necessariamente producono risultati con ricaduta immediata – ragiona l’esperto - ma le conoscenze che si acquisiscono in questo ambito sono essenziali, in quanto senza questa comprensione non si può pensare di sviluppare approcci terapeutici mirati. È sempre più evidente, comunque, che per progredire anche negli studi di laboratorio è necessaria una forte interazione tra ricercatori di base e i clinici che conoscono la malattia e come si esprime nell’uomo. La sfida è trovare un linguaggio comunque per facilitare il percorso della conoscenza». La Sla è una malattia neurodegenerativa progressiva, altamente invalidante e complessa. I trattamenti oggi approvati si riducono a pochi farmaci per ridurre sintomi e ad ausili per migliorare l’autonomia.

«Ma siamo di fronte ad un momento storico positivo – dice Melazzini - in cui la mole di informazioni raccolte in questi decenni dai ricercatori consente di affermare che potrebbero presto arrivare risposte per i malati. Penso ad esempio alle scoperte tecnologiche che hanno permesso di portare alla clinica terapie innovative e che hanno dimostrato la loro validità su altre malattie neurodegenerative. Anche l’apertura di diverse piattaforme che permettono di valutare contemporaneamente diverse molecole e ottimizzare i tempi e le risorse delle sperimentazioni cliniche, ci dicono che stiamo andando nella giusta direzione».

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