Ministro ticinese sui frontalieri
«Sì a clausola di salvaguardia»

Un abitante su quattro della Confederazione è straniero e dal debutto della libera circolazione in 700mila hanno deciso di trasferirsi in Svizzera dai Paesi Ue. Di qui la richiesta, suffragata dalle firme e contro il parere del Governo di Berna, di tornare alle urne

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La nuova e tanto dibattuta consultazione federale anti-frontalieri si terrà domenica 17 maggio. Si tratta del remake del referendum contro l’immigrazione di massa del 9 febbraio 2014, che ha ottenuto il consenso degli elettori rossocrociati, ma che - salvo l’applicazione del “Prima i nostri!” nei comparti con la disoccupazione sopra l’8% - non ha avuto grande seguito.

Ora però le cose sono cambiate e l’Udc - che da mesi rivendicata la paternità dell’iniziativa - ha sintetizzato la realtà svizzera del 2019 con due dati: oggi un abitante su quattro della Confederazione è straniero e dal debutto della libera circolazione in 700 mila hanno deciso di trasferirsi in Svizzera dai Paesi dell’Unione Europea. Da qui la richiesta, suffragata dalle firme e contro il parere del Governo di Berna, di tornare alle urne. La data di questa attesa tornata elettorale - su cui si accenderanno i riflettori dell’Europa e, a cascata, dei Paesi confinanti con la Svizzera, a cominciare dall’Italia - è emersa nel giorno in cui il ministro ticinese Christian Vitta, esponente moderato del Governo di Bellinzona in quota Partito Liberal Radicale, ha vergato di proprio pugno un lungo editoriale dai contenuti per certi versi clamorosi sul settimanale “Il Caffè”.

Il tema di fondo è sempre lo stesso, almeno da un mese e mezzo a questa parte ovvero il record di frontalieri (67900 quelli impiegati nel terzo trimestre dell’anno) in Canton Ticino. Senza troppi giri di parole, Christian Vitta ha fatto notare che «il 17 maggio il risultato dell’iniziativa che prevede di disdire l’accordo sulla libera circolazione è prevedibile, vista la pressione sul mercato del lavoro dovuta alla vicinanza con l’Italia.È invece probabile che l’iniziativa sarà respinta a livello federale». Da qui la proposta che certo non passerà inosservata e che non mancherà di agitare la politica di confine: «Il Ticino dovrà attivarsi con Berna. In questo senso ritengo che l’introduzione di un meccanismo di clausola di salvaguardia, possa - laddove si raggiungessero determinati livelli di criticità sul mercato del lavoro e per un determinato periodo - limitare in modo efficace l’afflusso della manodopera estera nei settori più vulnerabili».

Una dichiarazione forte che si presta ad una doppia interpretazione: la prima che in caso di nuove misure anti-frontalieri - leggasi blocco dei ristorni - la Lega dei Ticinesi avrà finalmente quella maggioranza all’interno del Governo di Bellinzona che sin qui è mancata, la seconda è che i nostri lavoratori, lasciati ai margini della campagna elettorale per le elezioni federali del 20 ottobre scorso, sono tornati al centro dell’agenda politica ticinese e federale. Dunque, come già evidenziato nei giorni scorsi dal nostro giornale, la campagna elettorale in vista della nuova consultazione anti-frontalieri (ora c’è anche la data del voto) è già entrata con cinque mesi d’anticipo nella sua fase clou. Fermo restando che in materia di lavoro e di libera circolazione delle persone l’ultima parola spetta a Berna e non a Bellinzona

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