Monete, valore inestimabile: ecco perché

Pubblicato uno studio che fa luce su dieci pezzi con l’effigie dell’imperatore Anicio Olibrio - Gli altri, rarissimi, sono custoditi a Roma, Londra e Belgrado con la stessa scritta cristiana: “Salvezza per il mondo”

Sull’ultimo numero della rivista luganese “Numismatica e antichità classiche” è apparso un articolo relativo alle monete romane rinvenute nel settembre di due anni fa in via Diaz. L’articolo porta la firma di Grazia Facchinetti, esperta numismatica della Soprintendenza, che con la collega Barbara Grassi aveva già illustrato a Como in biblioteca - lo scorso novembre - alcuni degli esiti delle sue ricerche.

Con una dovizia di dettagli di gran lunga superiore, l’articolo racconta di dieci di quelle mille monete, “solidi” emessi dalla zecca di Mediolanum - l’antica Milano - a nome di Anicio Olibrio, imperatore cristiano che governò sull’Impero d’occidente per pochi mesi, dalla primavera all’autunno del 472 d. C. La straordinarietà del ritrovamento - scrive Grazia Facchinetti - è legata alla «estrema rarità delle monete di Olibrio di cui erano noti (...) solo 20 pezzi». Sono custoditi a Roma, a Londra e al museo di Belgrado, e sono uguali a quelli di via Diaz: vi è riprodotto il busto dell’imperatore con corazza trattenuta sulla spalla destra da una fibula gemmata circolare, sul capo un diadema di perle che - spiega sempre l’esperta della Soprintendenza nel suo articolo - «presenta al centro un ornamento costituito da una grande pietra circolare coronata da tre elementi che terminano con una gemma».

Sul retro delle dieci monete, dettaglio che le rende se possibile ancora più uniche e preziose, c’è una croce latina e la scritta “salus mundi”, cioè salvezza per il mondo, diversa dal “salus rei publicae”, la scritta che compariva sulla maggior parte delle monete del tempo. Si tratta - scrive sempre l’esperta - «di un messaggio di salvezza più universale, non rivolto solo all’impero romano o a una delle sue parti». Un’associazione analoga tra una croce gemmata e la medesima scritta «non trova ulteriori attestazioni nella monetazione, mentre è presente nella decorazione absidale di Sant’Apollinare in Classe», a Ravenna.

Per quanto riguarda le altre monete, esse sono per l’80% emesse dall’impero romano d’Occidente. Le più antiche risalgono al regno di Arcadio (seconda metà del IV secolo), che in realtà regnava a Oriente, i gruppi più numerosi riconducono a Libio Severo (260 pezzi), Antemio (243) Valentiniano III (162). Lo stesso articolo rivela alcuni dettagli del ritrovamento, di cui pure si è già scritto parecchio: «Al momento del rinvenimento il contenitore troncoconico in pietra ollare in cui erano state riposte le monete (...) è stato sfortunatamente rotto, senza però produrre la fuoriuscita delle monete, solo in minima parte scivolate dalla loro posizione originale a seguito dell’urto con la benna del miniescavatore operante in quel momento e dell’ingresso di acqua e fango (...) La presenza del coperchio, pur non avendo potuto impedire che nel corso dei secoli si verificassero infiltrazioni di acqua di falda e di una esigua quantità di terra, ha consentito una conservazione ottimale delle monete. Fin da subito è apparso evidente come i solidi, in origine contenuti in rotolini di tessuto o altro materiale deperibile, fossero ancora impilati».

Quasi certa, infine, la data dell’occultamento del tesoro, tra il 472 e il 473 d. C., sotto un edificio che sembrerebbe ricondurre a un secondo livello di città rispetto a quella romana di Cesare, di quattro secoli più vecchia (circostanza che schiude scenari parecchio interessanti).

Non resta che sperare nel progetto di percorso museale studiato con la Soprintendenza. Quello di via Diaz è davvero un tesoro unico e straordinario per la città dei Plinii. Bello sarebbe che tornasse a casa.

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