San Martino, tesoro storico “scippato”. Una tesi riporta alla luce l’archivio

Ex ospedale psichiatrico Studente si laurea con un lavoro sul linguaggio nella malattia mentale. «Conservate quarantamila cartelle cliniche, ripercorrono un secolo di storia». Ma sono a Lodi

Cent’anni di storia comasca rivivono nel lavoro di uno studente universitario, che ha trasformato l’archivio dell’ex ospedale psichiatrico San Martino in una tesi di laurea da 110 e lode. Lui è Giorgio Parravicini, originario di Giussano ma da qualche tempo residente a Cermenate. Insegna alla Fondazione Minoprio, e nelle scorse settimane si è laureato con una tesi magistrale dedicata all’ex ospedale psichiatrico comasco.

«L’idea di base - racconta - era di fare una tesi sul linguaggio nelle situazioni anormali. Parlando con il relatore mi aveva consigliato un libro, riguardava la psicopatologia del linguaggio. Allora ho iniziato a cercare contatti di ex manicomi in Lombardia. Alla fine, l’unico che sono riuscito ad agganciare è stato il San Martino».

L’idea della tesi

Impresa tutt’altro che semplice, riuscire a ottenere l’autorizzazione per consultare l’archivio storico dell’ex manicomio comasco. «Mi sono messo in contatto con l’Archivio di Stato di Como, dove mi hanno dato il riferimento di un docente del Giovio che aveva lavorato sull’ex Op, il professor Gianfranco Giudice». È stato proprio l’insegnante del liceo di via Paoli a mettere in contatto Parravicini con l’Asst Lariana, titolare dell’archivio del San Martino. Archivio che, forse si ricorderà, è stato scippato alla città di Como: prima, nel 2010, in accordo con i Beni Culturali è stato trasferito all’Interporto di Parma, quindi tre anni dopo nei magazzini della società Microdisegno di Lodi, dove si trova tuttora. Ed è lì che l’autore della tesi ha passato giornate intere circondato da ben 40mila cartelle cliniche, oltre cent’anni di storia.

I danni del tempo

«Nell’archivio ci sono 1600 faldoni che coprono dall’apertura dell’Op nel 1882 fino alla chiusura. C’è un indice dei faldoni diviso per sesso e per anni, per pazienti morti nell’ospedale, la maggior parte almeno fino al secondo dopoguerra, e pazienti dimessi. Tutto è diviso in scatoloni, e tanti faldoni e tante cartelle risentono del tempo».

L’idea di occuparsi del linguaggio e delle sue peculiarità di fronte alle patologie psichiatriche, Giorgio Parravicini l’ha maturata in seguito a una propria esperienza personale: «Avevo una nonna che aveva disturbi psichiatrici, quindi il mondo della schizofrenia l’ho vissuto personalmente. Con gli strumenti acquisiti del percorso universitario, ho cercato di vedere se capivo la grammatica alternativa del mondo dei cosiddetti “matti” e quindi se fossi riuscito a trovare un ponte tra due realtà».

La ricerca di Parravicini, ha anche riportato alla luce «una delle brutte medaglie della cosiddetta cura delle patologie psichiatriche, l’elettroshock». Dalla lettura delle lettere scritte dai pazienti, si intuisce che «fino alla legge Basaglia l’approccio culturale era fondamentale: spesso persone non necessariamente con patologie mentali venivano tenute lì aspettando che rinsavissero, ma non succedeva, oppure che morissero. Sì: l’aspetto culturale, con conseguenti segnali sul linguaggio, era fondamentale nel trattamento e nella cura psichiatria: una donna che magari aveva solo depressione post parto, era stata ricoverata per isteria; un contadino che forse aveva solo la pellagra per via della dieta sempre uguale, era ricoverato in manicomio». E il San Martino è stato uno degli ospedale psichiatrici più grandi della Lombardia: «Il picco si è raggiunto attorno agli anni Sessanta con duemila persone ricoverate».

Un pezzo di storia della nostra città che rivive nella tesi da lode di Giorgio Parravicini. Ma anche un pezzo di storia che, purtroppo, è stato scippato a Como e ai comaschi.

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