Scuola tra bullismo, video censurabili sui social e sospensioni. Genitori e prof sono sempre più distanti

Scuola Note, sospensioni, pagelle negative: aumentano i ricorsi delle famiglie contro i docenti. E i presidi comaschi ora denunciano: «Scollamento evidente, è lo specchio di questa società»

Atteggiamenti maleducati, video e messaggi censurabili sui social, atti di bullismo, la scuola comasca si trova a dover fronteggiare sempre più casi spinosi, che finiscono davanti agli avvocati.

A Rovigo una docente ad ottobre è stata ferita in aula da una pistola ad aria compressa, gli alunni non contenti hanno pubblicato il filmato su TikTok. Oggi alla luce del ricorso dei genitori è stata annullata la sospensione decisa per gli studenti dal consiglio di classe. Questo caso paradossale fa discutere il mondo della scuola. «La mancanza di rispetto in classe è purtroppo frequente, colpa soprattutto dell’uso degli smartphone – racconta Valentina Grohovaz, dirigente scolastico dell’istituto Como centro città – non si tratta per fortuna di episodi così gravi, ma foto e video sui social spesso non hanno attenuanti. C’è una maggioranza di genitori che condivide con noi decisioni e percorsi, molti però reagiscono risentiti. Ribattono, sminuiscono». La risposta più classica è «sono solo delle ragazzate».

Gli insulti razzisti

«È capitato in una vicina scuola di sospendere degli alunni che hanno offeso sui social una compagna per ragioni etniche – dice Nicola D’Antonio preside del Giovio – e per qualche papà era solo una ragazzata. C’è uno scollamento con le famiglie. Se arriviamo a gestire le decisioni scolastiche per via giudiziaria abbiamo tutti fallito».

Non succede da oggi, ma di recente dare risposte è più complicato. «Gli ultimi tre anni hanno fatto crescere le situazioni di disagio – commenta Gaetana Filosa preside della DaVinci-Ripamonti – con famiglie distanti, non dialoganti o addirittura irraggiungibili. Quando invece servire confrontarsi con i genitori per far loro vedere problemi che non vedono. Di contro è vero che talvolta i docenti non hanno le competenze pedagogiche per gestire classi difficili. Però non c’è solo la scuola, tutta la società dovrebbe fare la sua parte».

La scuola riflette il tempo in cui viviamo. «Tutta la società è meno rispettosa – dice Ilaria Brenna, direttrice di Enaip Como – il tema è profondo, coinvolge il rispetto delle professioni, i valori delle famiglie, le regole e i doveri. Certo a scuola questi scogli emergono subito, perfino prima che a casa».

Fino a una decina di anni fa era quasi impossibile, oggi mandare la lettera dell’avvocato al preside per una sospensione o una pagella brutta non è un’eccezione. «Nove mamme su dieci convocate a colloquio dicono che non è possibile che il loro figlio abbia degli atteggiamenti aggressivi – spiega Daniela De Fazio, dirigente dell’istituto comprensivo di Como Rebbio – li difendono a spada tratta, rifiutano il problema. Il patto educativo salta, come saltano regole e valori».

Meglio spiegare

Le scuole però devono sforzarsi di spiegare. «Il nostro compito è confrontarci, far comprendere – dice la direttrice del Cfp Antonella Colombo - non limitarsi a comminare una pena». Non che sia facile. «I comportamenti aggressivi in classe sono ricorrenti – suggerisce Silvia Bassanini, psicologa al lavoro sull’orientamento scolastico – con la svalutazione dell’autorità dell’insegnante anche da parte dei genitori. Oggi però mamme e papà non si accontentano di una nota. I provvedimenti vanno spiegati, non basta l’aspetto punitivo. Non viene più accettato».

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