Tintorie piene di ordini
ma lavorano sottocosto
“Così non si dura a lungo”

Dal distretto di Como un appello al governo e al valle della filiera del tessile abbigliamento: «Rischia di saltare un pezzo del sistema moda made in Italy»

Prima la crisi legata ai due anni di pandemia, con tutte le conseguenze ben note da un punto di vista di chiusure forzate, rallentamento delle forniture, crisi economica e contrazione dei consumi. Ed ora questa situazione caratterizzata da un andamento dei prezzi energetici che Bruno Merlo, titolare della T.F.L. Tintoria Finissaggio di Luisago, non esita a definire “devastante”.

“Per le tintorie del distretto comasco – spiega – l’incremento del costo del gas sta rappresentando uno tsunami: nel nostro caso, l’aumento è stato del 450%. Questo significa – prosegue Merlo – che la nostra bolletta è passata da 23mila euro al mese ai 93mila di ottobre, 105mila di novembre, 115mila di dicembre e cifre ancora superiori per i primi mesi del 2022”.

L’imprenditore di Luisago sottolinea come quello delle tintorie sia propriamente un settore energivoro: “Abbiamo numerose vasche di tintura, con un ciclo di lavorazione che dobbiamo continuamente riscaldare; per noi, quindi, il fattore energetico è importantissimo e per questo motivo, anche prima di questa impennata dei prezzi, avevamo pensato di effettuare un investimento sulla nostra centrale termica, per ridurre i consumi: si tratta di un progetto che ora diviene urgente”.

La situazione che stanno vivendo le tintorie comasche è molto difficile. “Veniamo da un periodo – prosegue Merlo – caratterizzato da un calo del fatturato del 40% rispetto agli anni precedenti la pandemia: ora i rischi sono davvero elevati”.

La T.F.L. è tra le imprese che hanno siglato con i fornitori di gas contratti a prezzo variabile: “In altri tempi – dice ancora il titolare – si era rivelata una scelta giusta, mentre in questo periodo è stata sbagliata: ma il nostro lavoro può dipendere dal tipo di contratto sottoscritto con chi fornisce l’energia?”.

Per tentare di arginare questa deriva molto pericolosa per la tenuta aziendale, numerose tintorie hanno rivisto i propri listini prezzi: “Siamo stati costretti ad applicare aumenti – sottolinea Merlo – perché diversamente non saremmo rimasti in piedi: ci auguriamo di trovare comprensione nei nostri clienti; per il fattore energia abbiamo speso di più negli ultimi tre mesi dell’anno rispetto ai precedenti nove mesi e nel 2022 ci sarà un peggioramento”.

La T.F.L. è operativa nel settore da quarantuno anni: “Abbiamo sempre chiuso in attivo – continua l’imprenditore – ma gli esercizi 2020 e 2021 sono stati archiviati in rosso: ora dobbiamo necessariamente aumentare le tariffe, indicando almeno un incremento del 20% in fattura sotto una specifica voce dedicata al costo energetico”.

Tutto questo avviene in un contesto segnato da un buon andamento del mercato. “Gli ordini non mancano – conferma Andrea Ferrari, energy manager della Tintoria Pecco e Malinverno di Como – e l’azienda non ha avuto interruzioni di produzione: tuttavia è chiaro che questa situazione legata ai costi energetici non può durare a lungo, perché non possiamo lavorare in perdita e il rischio è la chiusura”. Secondo Ferrari è necessario un intervento politico diretto a tutela del settore delle tintorie del distretto tessile. “Inoltre – prosegue il manager – ci aspettiamo che i grandi brand della moda ci sostengano: c’è in gioco la sopravvivenza della filiera tessile italiana e le case di moda non possono ignorare questa situazione”. In Pecco e Malinverno c’è preoccupazione anche per il prossimo futuro: “Non si tratta di una situazione temporanea – conclude Andrea Ferrari –. pensiamo che il quadro generale si aggraverà, soprattutto in uno scenario geopolitico caratterizzato da un conflitto bellico”.

L’incremento dei prezzi energetici rappresenta solo l’ultimo aumento dei costi che le tintorie tessili comasche hanno dovuto subire nel corso dell’ultimo anno. “Già da diversi mesi – spiega Graziano Brenna, titolare della Ambrogio Pessina, tintoria di Lucino – abbiamo dovuto affrontare aumenti che riguardano i coloranti, i prodotti chimici e i costi di manutenzione: ci sono stati piccoli ritocchi agli importi abitualmente pagati che, se considerati insieme, hanno già comportato un notevole incremento dei nostri costi produttivi”. A questa base di partenza si è aggiunta la più recente impennata dei costi energetici. I numeri variano da azienda ad azienda, anche perché dipendono dalla tipologia di contratto sottoscritto con i fornitori di energia elettrica e gas. “Nel nostro caso – prosegue Brenna –, per gli ultimi mesi del 2021, abbiamo avuto incrementi del 130% per quanto riguarda l’elettricità e del 200% per il gas: adesso ci prepariamo ad ulteriori incrementi come conseguenza della guerra in Ucraina”.

L’imprenditore comasco spiega come l’energia incida almeno per il 15% sui costi totali del prodotto delle tintorie e come rappresenti quindi una voce importante nei bilanci aziendali, seconda solo alla manodopera.

In questa situazione, Brenna azzarda addirittura un confronto con il periodo più nero della pandemia: “Due anni fa, in piena tragedia nazionale dovuta all’emergere del Covid, siamo stati chiusi forzatamente: quel contesto, per i conti aziendali, era quasi preferibile rispetto a quello attuale, perché ora produciamo sottocosto e perché sappiamo che non ci saranno cambiamenti a breve termine”.

Il titolare della Ambrogio Pessina guarda quindi con favore ad una revisione della politica energetica nazionale: “Sicuramente è questa la strada da percorrere; sento parlare di una nuova campagna di estrazione di gas dal mare Adriatico e di un riavvio delle centrali a carbone dismesse: la situazione è talmente drammatica che qualcosa andrà fatto”. Tuttavia Brenna non è ottimista per quanto riguarda i prossimi mesi: “Per vedere i frutti di una nuova politica energetica, che ci renda maggiormente autonomi, servirebbero almeno vent’anni”.

Nell’immediato quindi, per sopravvivere, non resta che incrementare il listino dei prezzi di vendita: “Se dovessimo ragionare sui reali incrementi dei costi – prosegue – dovremmo aumentare almeno del 30% i nostri prezzi finali: evidentemente non possiamo farlo, ma dovremo certamente rivedere i listini, perché l’alternativa sarebbe fermare la produzione in attesa che la situazione migliori”.

Il paradosso e la beffa sono dati da un mercato particolarmente vivace, caratterizzato da numerosi ordini: “Negli ultimi giorni – dice ancora Brenna – abbiamo avuto qualche rallentamento, dovuto probabilmente all’inizio della guerra; ma i mesi scorsi sono stati molto positivi, con una ripresa che ora rischia di arrestarsi a causa di questo contesto difficile”.

Quali soluzioni individuare per uscire dall’angolo? Secondo Graziano Brenna non è possibile pensare di scaricare a valle tutti gli aumenti di costo, perché il prodotto finale rischierebbe di finire fuori mercato: “A mio parere quindi – spiega – sarebbe importante un intervento del governo per garantire alle aziende ristori come avvenuto nel 2020 e nel 2021: in questo modo non sarebbero penalizzati i consumatori e le nostre imprese potrebbero riuscire a superare questo momento così duro. Un conto è ridurre i margini – conclude – e un altro subire ogni mese perdite molto ingenti”.

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