In viaggio verso il Nuovo mondo, quando i migranti eravamo noi

Il progetto Dall’Italia agli approdi di Ellis Island, un percorso di ricerca attraverso l’oceano. I protagonisti? I nostri connazionali del Novecento, al centro di uno studio del liceo teresa Ciceri

«Il lavoro ci ha aiutato a capire meglio il presente». È uno degli effetti di “Quando a migrare eravamo noi”, il progetto messo a punto dalla docente Annalisa Franchi e i ragazzi del Ciceri sulle migrazioni del secolo scorso.

Il Pcto (Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, l’ex alternanza scuola lavoro), iniziato a ottobre 2020 e concluso ad aprile dello scorso anno, è stato costruito in due momenti: una prima fase di ricerca teorica sulle migrazioni e, accanto, una seconda più empirica.

Un doppio questionario

«Immagini discriminatorie: gli italiani venivano descritti come persone rozze, senza livello scolastico»

Per questo, sono stati divisi gli studenti in cinque sottogruppi: il primo si è occupato dell’analisi delle lettere dei migranti, contattando il museo di Ellis Island di New York, mentre il secondo ha realizzato un video con immagini e vicende tratte dal sito del Mem (Museo su memoria e migrazioni) di Genova. Sono state studiate le condizioni di viaggio e le aspettative di chi decideva di lasciare il nostro paese. Sono stati poi realizzati due questionari, uno sulla percezione del fenomeno migratorio e destinato agli adolescenti, l’altro centrato sui nostri connazionali oggi all’estero per cercare di capire come vivano e si sentano integrati nel tessuto sociale. Infine, sono state analizzate le vignette con cui veniva raffigurato il migrante italiano all’estero.

«Abbiamo lavorato trovandoci sulle piattaforme online – racconta Jacopo Andreetti – abbiamo compiuto una prima scrematura, visionando e scegliendo le immagini discriminatorie: gli italiani venivano descritti come persone rozze, senza livello scolastico».

Alessandro Corbetta faceva parte del gruppo che si è concentrato sulla preparazione del video, in parte svolto in inglese: «L’obiettivo era dare vita a una forma diversa rispetto a quella di una normale presentazione – aggiunge - ci siamo soffermati sia sulle condizioni igieniche dei migranti italiani sia sulle cause scatenanti un flusso migratorio così potente. Ci siamo concentrati sulle difficoltà incontrate, mettendo l’accento sui risvolti psicologici». Per esempio, il distaccamento dalla patria, elementi ancora oggi presenti fra le persone in arrivo da paesi lontani.

Collegamenti con l’attualità

«Non abbiamo sottovalutato le differenze culturali e ambientali – continua Corbetta – c’è chi ce la faceva a raggiungere l’indipendenza economica e chi, invece, restava attaccato a un lavoro precario, al limite della schiavitù. Abbiamo trattato anche il fenomeno mafioso».

Il collegamento con l’attualità è inevitabile: la dinamica, del resto, è sempre la stessa. Cambiano solo i protagonisti. Un lavoro come questo aiuta a comprendere meglio il presente.

La “fuga dei cervelli”

«Nelle lettere – aggiunge Sofia Mariastella - abbiamo trovato diverse tematiche ricorrenti come l’affetto per la famiglia. Un elemento molto forte è la fede in Dio, così come l’altruismo verso i famigliari e l’attaccamento alla patria». Fra le missive analizzate, come ricorda Cristiana Galli, c’è quella del viaggio di Carmela Mendozzi: un viaggio in terza classe durato tre settimane.

«Col mio gruppo – spiega Celik Ozge – ci siamo occupati delle migrazioni italiane attuali. Ci siamo confrontati sulla fuga dei cervelli e sui pregiudizi, ancora vigenti, che derivano però spesso dalla migrazione del secolo scorso. Oggi gli italiani all’estero ne sono molto infastiditi».

Le migrazioni del Novecento, come sottolinea Roberta De Maria, «erano legate a motivazioni economiche: in Italia si stava male. Oggi, invece, si muovono persone con un titolo di studio alto, con l’obiettivo di conseguire una specializzazione magari impossibile nella nostra nazione».

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