La nostra lotta contro il muro del silenzio

Serena e Stefano, non udenti: due storie di coraggio, determinazione e successo. Raggiunto nonostante i pregiudizi

A nove mesi di età il papà si accorse che Serena non rispondeva agli stimoli sonori. Un giorno aveva sbattuto forte la porta a pochi centimetri da lei, ma la bimba non aveva mostrato nessuna reazione. La mamma, invece, che l’accudiva per tutta la giornata, in principio negava questa difficoltà, e per dimostrarlo agitava un sonaglietto vicino all’orecchio alle sue spalle.

«Mi giravo di scatto – racconta oggi Serena Luraschi - non perché sentissi il suono, ma perché percepivo lo spostamento dell’aria. Mi portarono a Milano per sottopormi all’esame audiometrico e ai potenziali evocati, da cui emerse la mia sordità profonda in tutta la sua maestosità. Fu una bella doccia fredda per i miei genitori».

Serena convive con una sordità profonda neuro sensoriale bilaterale. A 13 anni ha messo le prime protesi acustiche e prestissimo ha iniziato un percorso con una logopedista. Adesso ha una bellissima famiglia, due bambine, si è laureata in Scienze dell’Educazione all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, per poi completare il percorso di studi con la laurea specialistica in Consulenza pedagogica per la disabilità e la marginalità all’Università Cattolica e lavora come amministrativo all’ufficio Servizi sociali di Cabiate.

Un aiuto fondamentale

«La logopedia è stata basilare per lo sviluppo del linguaggio parlato e mi è stata di grande aiuto anche la musicoterapia per imparare a modulare la voce e a riconoscere vari tipi di suono. C’è da dire anche che l’appoggio e il grande impegno della mia famiglia per insegnarmi a parlare e ad affrontare la vita di tutti i giorni si è rivelato fondamentale». Il percorso però non si è svolto senza ostacoli. «Gli studi sono stati difficoltosi, perché ho voluto sempre frequentare in presenza le lezioni in quanto ho sempre creduto nella loro utilità, ma i primi anni universitari ciò è stato davvero arduo, perché facevo molta fatica a prendere appunti e ad ascoltare i docenti nelle aule enormi e caotiche della Bicocca. Per fortuna le cose cambiarono quando decisi di fare un intervento chirurgico che mi rivoluzionò completamente la vita: l’impianto cocleare. Dopo due anni dall’intervento dovetti frequentare un corso di spagnolo con un’insegnante madrelingua in università e, con mia grande sorpresa e soddisfazione, riuscivo a percepire i singoli fonemi della lingua spagnola e a riprodurli solo dopo averli sentiti un paio di volte. Quasi piangevo dalla commozione, perché non mi era mai capitato prima. Percepire ed emettere istantaneamente il fonema delle parole “rojo” e “llorar” fu un’esplosione di fuochi d’artificio».

Le discriminazioni sono arrivate nell’ambito lavorativo: «Quando avevo iniziato a lavorare come educatrice scolastica e domiciliare, mi era capitato di seguire una bambina ipovedente e con una leggera ipoacusia. In quel contesto le maestre mi hanno discriminata tantissimo, al punto da arrivare a dirmi che non ero adatta a seguire la bambina per il solo fatto di essere sorda. Anche durante un concorso pubblico, sempre per operare come educatrice, mi fu detto chiaramente che una persona sorda non avrebbe potuto svolgere le mansioni richieste. Persino l’audiologo che mi seguiva ai tempi sosteneva che non era auspicabile che una persona sorda seguisse bambini sordi. In tutti gli altri ambiti non ho percepito discriminazioni, anzi».

La lingua dei segni

C’è ancora molto da fare per poter parlare di inclusione delle persone con sordità: «Per gli oralisti, come me, l’integrazione si ha quando si abbattono barriere e vengono utilizzati facilitatori, per utilizzare la terminologia Icf, per esempio cercando di installare campi magnetici ad hoc nei luoghi pubblici per far sì che con le protesi acustiche si senta solo la voce di chi parla, escludendo il rumore di sottofondo. Per i segnanti l’integrazione si ha cercando di insegnare a tutti la lingua dei segni italiana. Sono due esempi eclatanti. Sicuramente lo sviluppo è da intendersi soprattutto sociale e lavorativo, perché sono ambiti in cui avvengono più discriminazioni e l’isolamento della persona sorda, e credo che la soluzione sia in primis sensibilizzare a più non posso, cercando di applicare in toto le normative già previste».

Oggi per fortuna esiste lo screening neonatale che consente di identificare eventuali deficit uditivi fin dalla nascita ed è uno strumento importantissimo su cui fare ricerca come sostiene Stefano Porro, titolare, dopo la laurea in Economia, della Porro Srl, un’azienda che dal 1919 si occupa di fornitura e posa di ceramiche, parquet, porte e serramenti. «La mia sordità è stata diagnosticata a tre anni – spiega – Per me è stato da subito fondamentale il supporto e l’aiuto quotidiano della famiglia prima, indispensabile la presenza di una logopedista poi e successivamente l’entrata in un ambiente lavorativo positivo (inteso come bassa rumorosità dell’ambiente di lavoro, buona relazione con i colleghi, ecc.) che serve molto per convivere quotidianamente col problema uditivo. Io sono stato fortunato».

Guardando in ottica futura: «Nel campo tecnologico l’avvento degli impianti cocleari è stato un notevole passo in avanti. Io sette anni fa mi sono sottoposto all’intervento ed è stata per me una grande opportunità di miglioramento della qualità della vita. Nel campo dell’integrazione invece siamo ancora indietro: la pandemia per esempio ci ha obbligati a portare le mascherine e per persone con deficit uditivi, abituate ad ascoltare utilizzando la lettura labiale è un grosso problema. Sono state introdotte solo tardi e in poche quantità mascherine trasparenti. Secondo me in Italia non esiste ancora una giusta attenzione (da parte degli enti governativi preposti) su questi temi».

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