Donne e pensioni, ecco perché è sbagliato alzare l’età a 65 anni

Intervista Davina Fitas, responsabile Ocst, esprime la sua contrarietà in vista della consultazione di domenica per riformare l’intero comparto

La Svizzera va al voto anche sulla riforma Avs21. Che così – ovvero cpm il termine di “riforma “– il sindacato non ama affatto definire perché - sostiene - peggiorerà solo le cose su un tema cruciale come quello delle pensioni, tema tormentato dal progressivo invecchiamento della popolazione e dalle condizioni delle nuove generazioni nella Confederazione elvetica.

Di qui l’opposizione a quanto si vuole fare, passando dall’elevamento dell’età pensionabile per le donne. Il sindacato ha raccolto 151.782 firme proprio per combattere queste decisioni e Ocst ha evidenziato ben dieci argomenti contro AVS21. Che sarebbe una riforma - se proprio si insiste nel chiamarla così, rimarca la visione sindacale- sulle spalle delle donne. Ecco le ragioni dell’opposizione spiegate da Davina Fitas, responsabile Ocst donna – lavoro.

Il cuore di questa riforma è l’aumento dell’età di pensionamento per le donne: perché lo trovate inefficace ed eventualmente iniquo?

R AVS 21 non è una vera e propria riforma quanto un progetto di stabilizzazione, che dovrebbe garantire che il sistema stia nelle cifre nere per il prossimo decennio. L’idea era quindi di trovare degli ambiti dove risparmiare e delle nuove fonti di finanziamento. La principale misura di risparmio è proprio l’aumento a 65 anni dell’età di pensionamento delle donne. Bisogna però considerare che le donne pensionate in Svizzera, anche a causa della disparità salariale, ricevono il 37% in meno degli uomini. La decisione di penalizzarle ulteriormente è quindi totalmente iniqua.

Di fronte ai problemi sottolineati sul fronte pensioni, quale vie alternative a questa riforma sono state ignorate secondo voi?

L’AVS è il pilastro più importante del nostro sistema pensionistico perché tutte le pensionate e tutti i pensionati ricevono la rendita AVS, sono meno le persone che ricevono la rendita LPP e ancora meno coloro che si sono assicurati anche con il Terzo pilastro. È importante quindi che non venga indebolito, ma reso più solido con solide fonti di finanziamento. L’alternativa è avere una parte importante delle persone anziane in stato di povertà. Già oggi molte donne al termine della vita lavorativa, ricevendo complessivamente rendite pensionistiche notevolmente inferiori sono più soggette al rischio di povertà rispetto agli uomini.

Oggi uno dei grossi problemi che persistono è la differenza di salari tra donne e uomini: si sta facendo qualcosa? Oppure con questo tentativo di riforma si continua a ignorare il problema, spostando poi sempre gli oneri sulle spalle delle donne?

La questione della disparità salariale persiste ed ha conseguenze importanti dopo il pensionamento. Si fa troppo poco su questo tema. La Legge sulla parità, che richiede per le aziende con più di 100 dipendenti un controllo statistico, non prevede sanzioni per le aziende che non lo fanno o per le quali emerge un indizio di disparità salariale. È quindi sostanzialmente inefficace.

Che cosa comporta a livello sociale e magari anche psicologico per i giovani una simile riforma?

Chi sostiene la riforma ha puntato sul comunicare ai giovani che AVS 21 sia necessaria per garantire loro la sicurezza delle rendite al momento del pensionamento. In realtà non è così, ma tra coloro che si sono affacciati da poco sul mondo del lavoro in generale serpeggia una sfiducia nella possibilità di ricevere una pensione adeguata e sono sostanzialmente rassegnati ad un aumento dell’età di pensionamento. È importante far loro sapere che invece abbiamo ancora tempo per lavorare su una riforma adeguata che renda il nostro primo pilastro più solido e valorizzi le possibilità di pensionamento flessibile, così necessarie per chi fa lavori usuranti o perde il lavoro in età avanzata.

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