Un anno di incertezze economiche: «Stessi problemi economici, basta logiche di confine»

L’intervista Stefano Modenini, direttore dell’associazione delle imprese ticinesi. Molti i temi comuni ai colleghi che operano in Piemonte e Lombardia: di qui l’invito a collaborare di più

Un anno con troppe incertezze economiche ancora per le imprese ticinesi, su cui si allungano anche ombre dal punto di vista delle forze professionali. Ne parliamo con il direttore di Aiti, Stefano Modenini, dopo la recente assemblea.

Tra le emergenze, anche quello delle competenze professionali per dare sempre un avvenire alle imprese. Che cosa servirebbe oggi? Anche guardando alla collaborazione tra Italia e Svizzera?

Lo abbiamo già detto in altre occasioni e lo abbiamo ripetuto alla nostra assemblea generale lo scorso 4 maggio. Cantone Ticino, Lombardia e Piemonte hanno problemi comuni, ad esempio l’invecchiamento della popolazione. È necessario superare la logica del confine fra le due nazioni per affrontare insieme problemi analoghi: calo demografico, formazione delle persone, innovazione nelle imprese, infrastrutture e mobilità. Il prossimo mese il governo ticinese incontrerà quello della regione Lombardia. Ci attendiamo dei passi avanti concreti nella collaborazione.

Noi a nostra volta intendiamo scrivere a breve termine ai colleghi industriali delle regioni italiane di confine per avviare un confronto e spingere la collaborazione fra Ticino e Italia anche da un punto di vista diciamo così istituzionale. Non ha alcun senso andare avanti a rubarsi il personale, dobbiamo avere una strategia comune per lo sviluppo economico delle rispettive regioni nei prossimi anni e decenni.

Qual è il parere degli industriali sull’accordo fra Svizzera e Italia sulla fiscalità dei lavoratori frontalieri?

Noi siamo sempre stati contrari perché vedevamo già arrivare dieci anni fa il problema del calo demografico e della futura accentuata mancanza di personale specializzato. Troviamo persino ridicolo dire che alzando le imposte ai frontalieri ne verranno di meno in Ticino. Il risultato rischia invece essere quello di una desertificazione di attività manifatturiere e a perderci saranno sia il Ticino sia le regioni di confine. E quelli che affermano che così facendo diversi frontalieri con buoni stipendi potrebbero venire ad abitare in Ticino non si rendono conto che se il fenomeno dovesse avere luogo oltre una certa ampiezza noi dovremo investire parecchi milioni di franchi in infrastrutture, scuole, ecc.

Oramai però il danno dal nostro punto di vista è fatto, ciò ci induce a credere con maggiore convinzione che Ticino e regioni italiane di confine devono ancor di più accentuare la loro collaborazione per affrontare i problemi comuni.

In generale, come si è avviato questo 2023, con quali luci e anche con quali ombre?

Le previsioni degli imprenditori non sono troppo ottimistiche perché complessivamente viene annunciato un calo degli ordini per i prossimi mesi, naturalmente con diversi distinguo secondo il ramo di attività. Ma anche laddove si registra una certa stabilità, a causa dei costi crescenti – ad esempio l’energia – ciò si traduce di fatto in un mancato avanzamento degli affari.

Non giova a questo proposito il calo del prezzo del petrolio e di alcune materie prime perché si tratta comunque di un calo rispetto a prezzi che erano e sono elevati. Chiaramente la contrazione dei prezzi dei prodotti petroliferi e di alcune materie prime, nonché una certa stabilizzazione dei prezzi dell’elettricità, seppur a livelli più alti rispetto al passato, aiuta, ma poi quanto dei maggiori costi possa essere ribaltato sul prezzo finale dei prodotti dipende dal tipo di prodotto, dai contratti con i clienti e da altre condizioni. Probabilmente solo nell’ultima parte di quest’anno si potrà forse esprimere un maggiore ottimismo.

Quali sono le principali preoccupazioni in particolare per le aziende, nei settori più in difficoltà? Quali comparti invece stanno dando risultati migliori?

Siamo una nazione troppo cara. Già prima della pandemia e della guerra in Ucraina produrre in Svizzera era molto caro e oggi in un contesto di costi maggiori e di fatturati in calo o stagnanti, senza dimenticare l’annoso problema del franco svizzero forte, continuare a produrre da noi si giustifica sempre meno.

Le preoccupazioni delle aziende restano quelle legate al peggioramento delle condizioni per fare impresa. Le aziende devono abituarsi a costi dell’energia che aumenteranno ancora, poi vi è la cronica mancanza di personale, che oramai riguarda anche i profili meno qualificati.

Faccia qualche esempio.

La componentistica per il settore dell’automobile è entrata già da qualche tempo in una fase di cambiamenti a seguito dell’elettrificazione dell’automobile e ciò avrà delle conseguenze. Meccanica e meccanica di precisione scontano ancora diverse difficoltà congiunturali. In linea di massima tutti i rami industriali sono realisti, cioè né troppo pessimisti né troppo ottimisti. Alcuni segmenti, ad esempio nel settore del lusso, hanno buone prospettive di crescita ma devono fare fronte anche loro ai mutati atteggiamenti della clientela e all’ingresso in forze delle nuove tecnologie nella produzione e nel business più in generale. Quindi un maggiore sforzo di adattamento riguarda un po’ tutte le attività.

Siete reduci appunto dall’assemblea in cui avete sottolineato anche la questione della perdita della competitività e della necessità di combatterla. Che cosa serve al Canton Ticino in questo senso? Quali sono le vostre richieste?

Prima di tutto servono delle istituzioni e dei partiti politici che dimostrino il coraggio di fare delle scelte utili per lo sviluppo economico del nostro Cantone. Siamo preoccupati, e lo ripetiamo sovente, perché nei prossimi dieci anni circa usciranno dal mercato del lavoro decine di migliaia di persone che andranno in pensione e finora non vediamo emergere una particolare preoccupazione nei decisori politici. Vorrei ricordare che senza personale l’economia si ferma. Poi, è chiaro, siamo una piccola nazione che deve continuare ad essere competitiva ai massimi livelli nel mondo se vuole garantire benessere anche in futuro alla sua popolazione. Le altre nazioni non stanno a guardare, per cui anche il Ticino deve darsi da fare ad esempio migliorando la sua competitività fiscale nei confronti delle aziende. C’è molto da fare, anche su altre condizioni quadro per fare impresa.

Che cosa occorre andando più nei particolari per l’innovazione, asset strategico per il futuro delle aziende?

L’innovazione è prima di tutto una competenza delle imprese, ma in Svizzera abbiamo un sistema di promozione dell’innovazione che vede un’importante collaborazione fra aziende, università e Stato. È un buon sistema senz’altro, ma non possiamo dimenticare che il 90 % delle nostre aziende hanno meno di 10 dipendenti. L’innovazione costa sempre di più e richiede accresciute competenze; tante piccole e medie imprese non hanno le risorse necessarie per investire più di tanto. Se vogliamo mantenere competitivo questo tessuto importante di aziende anche in futuro, lo Stato insieme alle imprese deve fare qualche riflessione. Non dico dare dei soldi a fondo perso ma investire in maniera importante in centri di eccellenza per la ricerca e sviluppo con una partecipazione fra pubblico e privato è necessario. Poi servono maggiori strumenti dedicati direttamente accessibili da parte delle aziende; mi riferisco a strumenti fiscali, servizi legati alla proprietà intellettuale, ecc.

© RIPRODUZIONE RISERVATA