Da Valmorea all’Emilia, con una raccolta di cibo e vestiti: «Un’apocalisse a Faenza, la mia città»

La storia Francesca Ghielmetti è andata in Emilia per vedere la situazione dopo l’allagamento: «È mille volte peggio di quanto avrei immaginato. I volontari? Spesso vengono intralciati»

«Un’apocalisse. L’ho vista, sul posto, di persona: Mille volte peggiore di quanto avrei immaginato mentre stavo a casa»: Francesca Ghielmetti non trova pace, da quando è tornata da Faenza dove è nata e dove vivono suoi familiari, parenti ed amici.

«La mia città è stata colpita due volte dall’alluvione ed è stata catastrofe – racconta - persone salite sui tetti per salvarsi e rifugiate ai piani alti senza poter scendere per tre giorni, famiglie che hanno perso tutto e riescono a recuperare ben poco, intere zone ricoperte di acqua e di fango. Anzi, melma, ormai solidificata, argilla che non si può più rimuovere, neppure dalle scarpe. Animali, scarafaggi, spurghi, olii galleggianti o depositati».

La preoccupazione

Popolazioni disperate per la furia delle acque che ha devastato tutto ciò che si poteva devastare: tra grida, urla, richiami, pericoli rossi, paesaggi spettrali, le persone normali si sono aiutate a vicenda, come potevano, raggiungendo in gommone chi rischiava di annegare, tendendo le mani per recuperare il vicino, soccorrendo bambini, anziani, disabili. Ma dopo il diluvio, l’arcobaleno non è ancora spuntato ed è questo un aspetto critico sottolineato da Francesca: «Le autorità – afferma – hanno emesso questo messaggio contradditorio: angeli del fango, state a casa perché intralciate. Forse non si sono rese conto che c’è bisogno di liberare le case e la gente vuole ritornare a vivere, ma le indicazioni non sono chiare, tanto più che in molti casi non sono ancora possibili i collegamenti telefonici o attraverso i social».

Task force per l’emergenza

Da Valmorea, con il marito Luca, lei è in contatto con amici e parenti di Faenza, dei dintorni e con persone del posto che avendo salvato il salvabile, hanno messo a disposizione locali e condiviso beni. Ma, soprattutto, Francesca ha attivato una task force in zona, Comuni, Pro Loco, associazioni:un tam tam girato di casa in casa e ha raccolto in quantità beni materiali, cibo, vestiti, medicinali, prodotti per l’igiene della persona e della casa, tutti inscatolati dai volontari. Domenica, la Pro Loco di Valmorea, durante la gita sociale a Cremona, non ha dimenticato la tragedia degli amici romagnoli e, tra le tante cose belle, ha raccolto fondi per loro: così, neppure per un attimo, la catena della solidarietà ha perso un anello, quello rappresentato da vent’anni dalla Pro Loco, che dalla sua origine ad oggi ha destinato più di 50milaeuro su tanti bisogni.

«Ma nella mia terra – si rammarica Francesca – l’opera dei volontari è purtroppo ostacolata. Agiscono come carbonari, per aiutare il prossimo si devono nascondere».

Forse perché nell’emergenza uno solo deve comandare, cioè è indispensabile un coordinamento?

La solidarietà

«La mia gente non ha più niente – conclude – come si può pensare che in un quartiere non ci si aiuti, non si condivida e si aspettino gli ordini superiori? Per esempio, una barista a Faenza ha aperto il proprio salone delle feste e l’ha adibito a magazzino. Se tutti ci mettiamo insieme, ce la facciamo».

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