’Ndrangheta, parlano le difese al processo nato dall’operazione “Cavalli di razza”: «Episodi estemporanei non riconducibili a una partecipazione mafiosa»

Tribunale Le arringhe degli avvocati: «Nessun progetto mafioso ma esercizio arbitrario delle proprie ragioni»

«L’associazione di tipo mafioso non può essere un contenitore dentro cui tutto viene fatto confluire. I fatti di cui abbiamo parlato erano estemporanei, non riconducibili ad una partecipazione mafiosa». Tanto che, in alcuni casi, «mancando la conoscenza del profitto ingiusto», è stata anche chiesta la derubricazione di una parte delle contestazioni da estorsione ad esercizio arbitrario delle proprie ragioni.

Ieri mattina, di fronte al Collegio del Tribunale di Como composto dalla presidente Valeria Costi con a latere Veronica Dal Pozzo e Maria Elisabetta De Benedetto, a prendere la parola sono state le difese del processo dibattimentale nato dall’operazione “Cavalli di Razza” che aveva indagato sull’attività presunta della locale di ’ndrangheta di Fino Mornasco. La grande maggioranza degli imputati aveva scelto di essere giudicata con il rito abbreviato (che comporta anche lo sconto eventuale, in caso di condanna, di un terzo della pena) mentre in undici hanno voluto comunque, senza chiedere riti alternativi, farsi giudicare in un pubblico dibattimento.

«Una scelta non facile – ha fatto notare l’avvocato Pierpaolo Emanuele, del foro di Reggio Calabria – soprattutto a fronte delle pene alte che prevedono questi reati. Ma voglio anche dire a tutti che l’associazione mafiosa non è un grande contenitore in cui far cadere tutto e tutti, anche senza contestare poi dei reati specifici che corroborino questa associazione». Insomma, al centro delle arringhe dei legali ieri chiamati a parlare, c’è stata soprattutto la «non mafiosità» di quanto contestato dai pm della Dda di Milano, Pasquale Addesso e Sara Ombra, che nel corso della scorsa udienza erano arrivati a chiedere pene altissime fino ad un massimo di 24 anni per una singola persona.

«Nell’agire dei nostri assistiti – ha detto l’avvocato Angelica Ottinà – non c’è mai stata “mafiosità”, e nemmeno il voler richiamare la forza di un gruppo criminale. Ci sono imputati che hanno sempre lavorato, incensurati, mai affiliati, che hanno dei modelli positivi e che si sono staccati e allontanati dalle loro case, di certo non malavitosi».

«Il pm ci ha detto – ha concluso l’avvocato Emanuele – che chi faceva le estorsioni poi non le gestiva, non concorreva insomma ma ne sfruttava il clima di intimidazione. Bene, ma quali sarebbero gli indici probatori di questo assunto? Non si è mafiosi perché si riceve una interdittiva, perché non è niente di più che la segnalazione di un sospetto».

Le difese parleranno anche nella prossima udienza, il 13 aprile. Poi la parola passerà definitivamente al Collegio: sentenza attesa per il 27 aprile.

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