Ucciso dalla ’ndrangheta nel giardino del bar di Bulgorello. La Cassazione conferma: due ergastoli

Cadorago È definitiva la condanna nei confronti di Bartolomeo Iaconis e Luciano Rullo. Sono i mandanti e il killer del delitto che nel 2008 costò la vita a Franco Mancuso, 35 anni

A distanza di un anno dal pronunciamento della corte d’Appello di Milano (luglio 2021), la corte di Cassazione chiude definitivamente il processo nei confronti di Bartolomeo Iaconis, 63 anni, originario di Giffone ma residente a Fino Mornasco, e di Luciano Rullo, 54, lui pure di Fino, ritenuti il primo il mandante, il secondo l’esecutore materiale del delitto che l’8 agosto del 2008 costò la vita di Franco Mancuso, 35 anni, originario di Catanzaro, freddato a colpi d’arma da fuoco nel giardino del bar Arcobaleno di Bulgorello. La Cassazione ha confermato senza sconti le due condanne all’ergastolo già confermate in appello, così confermando anche la lettura che della vicenda fornì in primo grado il tribunale di Como. Le condanne giunsero in seguito alle dichiarazioni del pentito Luciano Nocera, detto “panza di caniglia”; lui pure condannato nel frattempo all’ergastolo per l’omicidio di Ernesto Albanese, ritrovato sepolto sotto tre metri di terra nel giardino di una abitazione disabitata di Guanzate.

L’offesa al Bulldog

Nocera non fece che confermare - a distanza di anni - quel che alcune fonti provarono a rivelare agli inquirenti nelle settimane appena successive al delitto, quando per esempio i carabinieri ricevettero una chiamata anonima da parte di qualcuno che li informava che il movente della morte di Mancuso fosse da ricercarsi in una lita che la vittima aveva avuto al bar Bulldog di Cadorago con lo stesso Iaconis, salvo poi prendere a mazzate l’auto del boss.

L’omicidio

Era un gesto sul quale Iaconis non avrebbe potuto soprassedere e infatti, attorno alle 17 di quell’8 agosto, un killer misterioso raggiunse il bar Arcobaleno lasciando una moto con il motore acceso in via Monte Rosa. Indossava un casco e un paio di occhiali da sole, che lo rendevano irriconocibile.

Entrò nel giardino sul retro del locale e puntò la pistola che aveva con sé contro Franco Mancuso, che viveva con la famiglia a Caslino al Piano. Sparò quattro colpi, di cui uno a vuoto: il primo lo raggiunse a una gamba, il secondo lo centrò al petto, un terzo fu esploso all’indirizzo di una spalla, da distanza ravvicinata. Poi, così come era apparso sulla scena, il killer si dileguò, tornando alla moto e scomparendo nel nulla. Mancuso trovò la forza per alzarsi in piedi. Con le ultime energie si trascinò fino all’interno del bar, poi crollò. A nulla valsero i tentativi del 118 di rianimarlo. Morì pochi minuti più tardi, lasciando - oltre che la moglie - anche tre figli, il più piccolo dei quali di pochi mesi. Per anni il delitto rimase insoluto, fino a quando Luciano Nocera si decise a rivelare quel che sapeva, mettendo gli inquirenti sulla strada giusta.

La sentenza di ieri chiude i conti a 14 anni di distanza.
S. Fer.

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