1922, l’anno dei fasci: «Così un vento nero iniziò a soffiare sul paese»

Intervista Ezio Mauro, classe 1948, giornalista, ha diretto “La Stampa” dal 1990 al ’96 e “Repubblica” dal 1996 al 2016. Attualmente è editorialista
del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari

È il 1922 l’anno fatidico che dà il titolo all’ultima pubblicazione di Ezio Mauro, “L’anno del fascismo. 1922. Cronache della Marcia su Roma” (Feltrinelli, 2022). L’anno in cui il vento nero della violenza separa il prima dal dopo, sulla soglia della dittatura. A un secolo di distanza ci siamo fatti raccontare proprio da lui come andò quell’anno e perché fu così fondamentale e come Mussolini arrivò al potere con la marcia su Roma.

Sono passati cento anni dalla marcia su Roma: cosa occorre sapere per capire meglio cosa accadde?

Bisogna pensare che nel 1922 il fascismo ha solo tre anni di vita ed è passato dal nulla al tutto perché nelle elezioni del ’19 il partito di Mussolini non ha portato in Parlamento nemmeno un deputato.Nel ’22 il numero dei fasci organizzati invece si è moltiplicato per dieci e il numero degli iscritti al partito per 12.

Com’è possibile?

Perché il fascismo riesce a incrociare lo spirito dei tempi. Il clima del dopoguerra, l’abitudine alla morte, lo spirito di avventura, lo sbandamento dei reduci che tornano dalla guerra e non si sentono considerati come pensavano, questo clima di disorientamento generale si unisce a una ribellione dei ceti medi che vogliono la loro parte. Sono sentimenti che il fascismo interpreta, alimenta e traduce in azione. E c’è un indebolimento intanto dello Stato liberale e dei suoi esponenti politici: c’è un mondo che declina e uno che viene avanti impetuoso. Il fascismo gonfia la sua vela di questo vento nero che inizia a soffiare.

Con quale strategia riuscì a inserirsi in questa congiuntura?

Con lo strumento della violenza, questo è un elemento fondamentale. Si costituisce una sorta di esercito privato di partito, palesemente illegale, parallelo all’esercito nazionale, e queste bande armate distruggono l’organizzazione politica e cooperativa, culturale e dopo lavoristica del Paese.Prosciugano l’acqua in cui il partito socialista si poteva muovere: le organizzazioni, che sono il canale di collegamento col popolo.

Una violenza che è fatta anche di parole, come comunica il partito fascista nel 1922?

C’è veramente un disprezzo crescente e continuo per la democrazia: il Parlamento viene definito “un nido di gufi”, “un’istituzione vecchia, fradicia e imputridita” (sono testuali parole di Mussolini). L’attacco alle istituzioni rappresentative è costante, così come l’attacco personale di Mussolini alla democrazia. Prima della marcia su Roma usa queste parole: «La democrazia agonizza ovunque nel mondo, nel secolo scorso forse il capitalismo ne aveva bisogno, ma adesso ne può fare a meno e quindi la guerra ha liquidato il secolo della democrazia». Si passa così da una democrazia di tutti a una democrazia di pochi eletti.

Un duro attacco che non avviene solo a livello nazionale però: come si declina questa forte opposizione alla democrazia sui territori?

C’è una pervicace opera di smantellamento dei comuni di sinistra: questo è molto importante perché nella tradizione politica italiano, la democrazia municipale e l’istituto dei comuni sono centrali. L’Italia è una terra di campanili. Questo attacco alle città gestite da giunte di sinistra che hanno vinto le elezioni è un sovvertimento della volontà popolare e della rappresentanza, ma è anche un attacco all’organizzazione politica dello Stato dal basso, nelle sue istituzioni di base. I comuni vengono assaltati direttamente: Farinacci a Cremona si auto-nomina sindaco con una lettera che scrive dalla stanza del prefetto. Ma nella maggioranza dei casi le squadre, di notte, vanno a casa di sindaci e assessori socialisti per minacciarne mogli e figlie e costringerli a firmare le dimissioni. Il governo sanziona questa forma di violenza perché poi scioglie i comuni e quindi accetta la situazione che la violenza fascista crea nel paese. In soli due mesi del 1921 il fascismo fa più di 100 morti e 400 feriti con 59 case popolari distrutte, 119 camere del lavoro assaltate, 197 cooperative rase al suolo, 83 leghe incendiate, 141 sezioni socialiste e 105 culturali attaccate: questi numeri aiutano a capire di che tipo di violenza stiamo parlando.

Qual è l’esempio più clamoroso di questo tipo di attacchi?

Senza dubbio quello di agosto del 1922, a Palazzo Marino a Milano. Il palazzo viene scalato dall’esterno da uno squadrista che rompe il vetro del finestrone sul balcone e apre la porta, nel frattempo viene sfondato il cancello, i fascisti entrano e occupano l’edificio, cacciando gli amministratori socialisti e approfittando del fatto che il sindaco è in vacanza all’estero.

Questi episodi aiutano a capire meglio come si arriva alla marcia su Roma: quale tipo di clima creano?

Con questi gesti il fascismo vuole suscitare paura e senso di impunità, al punto che i soldati, i carabinieri e le guardie regie non intervengono, la magistratura non colpisce i colpevoli. In fondo, si vuole far capire alla popolazione che il fascismo è fuori legge nel senso che è sovraordinato alla legge, perché può fare quello che vuole. Così fonda un ordine nuovo, uscendo da quello preesistente e dalla regola di convivenza civile che fonda la società.

Arriviamo alla marcia, la popolazione come visse questo evento?

Bisogna tenere presente che tutto il ’22 e parte del ’21 sono attraversati da un linguaggio estremo, per cui popolazione, società politica, istituzioni e governanti sono abituati a concetti estremi come quello di colpo di Stato. La marcia su Roma viene minacciata, invocata, annunciata, ripetuta decine e centinaia di volte dai vertici del partito fascista così come dai gerarchi di città e provincia. C’è la continua evocazione della dittatura e la convinzione che si possa andare al potere con prepotenza politica, anzi con prepotenza trasformata in politica.

E Mussolini come doveva apparire agli italiani nel 1922?

Sicuramente come una figura ambigua e contraddittoria, ma questa è una scelta tattica che lui farà costantemente. Mussolini predica la violenza: «Dovremo toccare col manganello i crani refrattari» dice. Ma a un certo punto si rende conto che questa violenza rischia di alienargli la simpatia del ceto medio: firma un patto di pacificazione coi socialisti che viene poi sconfessato da una rivolta interna al partito e lui lì rischia di perdere la sua posizione. Teme che lo squadrismo potrebbe diventare l’unica espressione del fascismo, mettendo da parte la posizione politica ma allo stesso tempo non può fare a meno dello squadrismo. Queste forze che ha liberato e incitato a distruggere gli avversari sono difficili da richiamare all’ordine: hanno bisogno di un traguardo, una meta.

Di qui la marcia su Roma?

Sì, lui promette una rivoluzione ma quando annuncia la marcia dice che si tratta di una «marcia spirituale», cioè di una mobilitazione simbolica. In realtà organizza la marcia per davvero: ne parla con Balbo prima, il 6 ottobre, poi il 16 fa una riunione con i quadrumviri De Bono, De Vecchi, Balbo e Bianchi. Durante questa riunione organizza la presa del potere con la Marcia su Roma, ma lui fino all’ultimo minuto tiene il piede in due staffe e non esclude di poter andare al potere per le vie legali. Gioca apertamente su entrambi i fronti ma nella grande adunata di Napoli del 24 ottobre, durante la seduta notturna con lo stato maggiore del partito, si decide la data della notte tra il 27 e il 28: la marcia ci sarà.

Ma qual è la sua strategia quindi?

C’era l’incognita su come avrebbero reagito esercito, di antica fedeltà monarchica, e re. Qualcosa doveva restare in piedi, altrimenti la popolazione non avrebbe capito, quindi si pensa di salvaguardare la monarchia ma, secondo la teoria del “do ut des”, il re non può mettersi contro i fascisti. Mussolini riesce a intessere una ragnatela di negoziati, con un’abilità tattica molto notevole, tanto che riesce a giocare su tavoli diversi tenendosi aperte tutte le porte fino all’ultimo momento. Alla fine ottiene quello che desidera e solo allora si fa vedere a Roma.

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