Educazione libera, l’ora delle scelte

Le vie per un sistema di formazione più plurale sono molte e differenti. È ora cruciale comprenderlo e muoversi subito in questa direzione

Quando si discute di libertà di educazione, in linea di massima si tende a fissare l’attenzione – e questo è comprensibile – sulle modalità di finanziamento degli istituti scolastici: pubblici o privati. In Italia, ad esempio, nei decenni scorsi (soprattutto per merito di Dario Antiseri, Lorenzo Infantino e Antonio Martino) è stata spesso proposta l’introduzione di un “voucher” (o buono), tale da permettere a ogni studente di scegliere la sua scuola. L’idea sarebbe che lo Stato non finanzi direttamente le scuole e non paghi gli stipendi ai docenti, ma dia a ogni giovane un assegno spendibile soltanto per “acquistare” la propria formazione: in un istituto scolastico di Stato oppure libero.

Il dibattito

Le questioni che solleva il buono-scuola sono importanti, ma non esauriscono l’intero dibattito. In effetti, quando ci s’interroga sulla formazione dei giovani è cruciale riflettere pure sui programmi delle scuole stesse, e quindi su come lo Stato (in Italia e non soltanto da noi) limita la possibilità di delineare temi e metodi alternativi rispetto a quelli fissati d’imperio.

Quanti frequentano un liceo, ad esempio, studiano storia della filosofia (ma non filosofia) e storia dell’arte (ma non storia della musica) soltanto perché Benedetto Croce e Giovanni Gentile decisero così. La loro filosofia storicista e il loro scarso interesse per Monteverdi e Stravinskij li hanno portati a definire una volta e per tutte quelle regole che a noi, del tutto ingiustificatamente, ora paiono scritte nella pietra.

In una società libera dovrebbe invece essere alzato un muro tra la scuola e il potere, così come tra religione e Stato. Ogni famiglia e comunità dovrebbero vedere riconosciuto il proprio diritto a costruire percorsi formativi adeguati ai giovani, che ne valorizzino i talenti e li mettano in condizione di affrontare le sfide del futuro.

Non è un caso che, in varie parti del mondo, stanno affermandosi le scuole parentali (homeschooling). Tutto è iniziato quando una sentenza della Corte suprema americana ha dato ragione agli Amish e ha riconosciuto loro il diritto di educare i ragazzi a casa. Questo ha permesso a chiunque, negli Stati Uniti, di costruire un universo scolastico alternativo rispetto a quello istituzionale, dominato da docenti progressisti. I primi a farsi carico direttamente dell’educazione dei propri figli, anche costruendo una rete di famiglie, sono stati quei cristiani evangelici che giudicano incompatibile con i loro valori la cultura che domina l’establishment statunitense. Nei decenni questa realtà si è molto radicata e i risultati ottenuti all’università da questi “homeschooler”, tra l’altro, sono ottimi.

In Italia, di recente, nella crisi sociale determinata dalle politiche imposte per fronteggiare il Covid-19 pure molte famiglie della più diversa estrazione ideologica hanno cominciato a praticare l’homeschooling, dedicandosi direttamente alla formazione dei figli. Ed è interessante rilevare come alla fine lo stesso filosofo Giorgio Agamben si sia espresso a favore di questa “secessione” sociale dalle logiche imposte dallo Stato e da altri gruppi dominanti.

Programmi identici

La battaglia per la libertà d’educazione, a ogni modo, può prendere molte e diverse strade. Da tempo, in effetti, vi sono gruppi politico-culturali volti a difendere la varietà delle identità e delle tradizioni della Penisola che sottolineano quanto sia assurdo che un ragazzo possa crescere a Napoli senza comprendere il ruolo degli Angiò oppure degli Aragonesi nella storia cittadina, oppure a Venezia senza sapere chi fu Marcantonio Bragadin o quale fosse il ruolo del Maggior Consiglio nelle istituzioni della Serenissima.

Lo Stato italiano produce programmi scolastici sostanzialmente identici dalle Alpi a Lampedusa, enfatizzando la storia nazionale a scapito di quella cittadina e regionale, ma anche di quella che riguarda il resto del continente e il mondo intero. In fondo, quanto tempo si debba dedicare alle diverse materie (e all’interno di un corso a questo o quel tema) dovrebbe essere deciso dalle scuole e dagli insegnanti, in piena libertà: senza alcuna imposizione ministeriale.

Un’evoluzione in tal senso esige un cambio di paradigma, il quale può avvenire anche gradualmente. In questo senso è da notare che – anche al di là della homeschooling e del contrasto tra pubblico e privato – in vari Paesi s’è compresa la necessità di avere istituzioni più libere di gestirsi, così da dare alle famiglie le risposte che s’attendono. In tal senso è interessante l’esperienza delle “charted schools”, che ha preso piede non soltanto negli Usa, ma anche nel Regno Unito, in Svezia, in Finlandia e altrove (pur con talune differenze da una situazione all’altra).

Si tratta di scuole pubbliche che godono di una particolare autonomia e a tal fine godono di statuti speciali. In sostanza, lo Stato finanzia questi istituti – creati spesso da un gruppo di docenti – sulla base del numero di studenti che li scelgono. Quando il progetto di questa scuola viene elaborato e riconosciuto, gli studenti possono frequentarla senza sostenere alcun onere economico e la scuola è finanziata in rapporto agli iscritti. La scelta dei docenti e dei programmi, comunque, è un affare dell’istituto, e il ministero non interferisce più di tanto.

Com’è evidente, allora, le vie per una educazione più libera e plurale sono molte e differenti. È cruciale comprenderlo e iniziare a muoversi in quella direzione.

Filosofo, saggista e docente a Verona

Carlo Lottieri, nato a Brescia il 6 novembre 1960, è un filosofo liberale classico, esperto di economia. Allievo di Alberto Caracciolo, ha studiato a Genova, Ginevra e Parigi, dove ha ottenuto un dottorato di ricerca. Insegna Filosofia del Diritto all’Università di Verona.Nel 2003, insieme ad Alberto Mingardi e Carlo Stagnaro ha dato vita all’Istituto Bruno Leoni, che si ispira alla tradizione di Luigi Einaudi. Tra i suoi libri: “Credere nello Stato?” (Rubbettino, 2011); “Liberali e non. Percorsi di storia del pensiero politico” (La Scuola, 2013); “Beni comuni, diritti individuali e ordine evolutivo” (IBL, 2020). Collabora con “La Provincia” e con “Il Giornale”.

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