Manzoni, il “Gran lombardo” e un Ordine da collezione

In edicola un numero interamente dedicato all’autore dei “Promessi sposi” nel 150° della morte con la copertina disegnata da Velasco Vitali e grandi firme

A consigliare a qualcuno di rileggere “I promessi sposi” da adulti, in Italia, si rischia di essere presi a maleparole. La colpa è anche della scuola che spesso, invece di farci amare il capolavoro manzoniano, ci costringe a vivisezionarlo. Eppure il suo autore merita oggi più che mai il titolo di “Gran lombardo”, che gli fu riconosciuto per la prima volta in un saggio di Giovanni Battista De Capitani del 1887, “usurpandolo” a Bartolomeo della Scala, cui lo aveva riservato Dante nella “Commedia”, perché il signore di Verona (nel Medioevo per un toscano il Nord Italia s’appellava indistintamente Lombardia) era stato il primo ad accoglierlo dopo l’esilio da Firenze.

In occasione del 150° della morte abbiamo voluto dedicare a Manzoni un numero monografico de “L’Ordine” - il nostro supplemento culturale in edicola sabato 20 maggio con “La Provincia di Sondrio” e domenica 21 maggio con l’edizione di Como - in primis perché nella sua opera si incontrano ancora validissime risposte alle esperienze individuali e collettive che toccano le nostre vite: l’amore, il lutto, la guerra, la fede e persino la crisi economica - come sottolinea un addetto ai lavori del calibro di Carlo Lottieri - trovano in lui un superbo analista. E poi con l’amico Goethe, che ne divulgò il verbo Oltralpe traducendone le opere, ma che non incontrò mai di persona come ci racconta il germanista Mattia Mantovani, pose le basi della cultura europea, quella che ancora oggi ispira, o dovrebbe ispirare, un’unione di popoli e di valori, prima che di Stati.

Manzoni, che noi italiani tendiamo a ricordare quasi esclusivamente per “il” romanzo che ha scritto e riscritto, fu anche un grande poeta: dai 16 anni fino alla morte non smise mai di comporre versi in cui la tensione etica è smitizzata da un’ironia anch’essa decisamente lombarda. Del Manzoni poeta scrive per “L’Ordine” uno dei maggiori autori e critici contemporanei, Maurizio Cucchi, con un entusiasmo non dissimile da quello che gli aveva riservato in tempo reale (correva l’estate del 1840, l’anno dell’edizione maggiore dei “Promessi sposi”) Mary Shelley, allora in villeggiatura sul lago di Como: «Questa sera sentii per la prima volta l’Ode a Napoleone di Manzoni - scrive l’autrice di “Frankenstein” il 10 di agosto -. […]. È un poema glorioso. [...] È un piacere talmente grande scoprire come poesia degna dei suoi giorni migliori germogli nell’Italia moderna, mostrando che l’ingegno degli italiani sopravvive alla rovinosa influenza del malgoverno e dell’oppressione».

Mary Shelley fu tra i primi a fare turismo letterario nei luoghi manzoniani, e oggi, grazie al rinnovato allestimento della villa museo dello scrittore a Lecco, si è molto agevolati nel seguire le orme di Renzo, Lucia, Fra’ Cristoforo e tutti gli altri, come spiega sempre su “L’Ordine” Gianfranco Colombo. Proprio il crescente interesse per il turismo culturale ed esperienziale dovrebbe spingere noi lombardi a coltivare una memoria viva di questo grande scrittore, magari proponendo degli itinerari in Lucia (la barca, ovviamente), quella che campeggia sulla splendida copertina del nostro supplemento disegnata da Velasco Vitali. Non a caso in questi giorni è uscito da Rizzoli “In viaggio con Manzoni. I luoghi della sua vita e dei Promessi sposi” di Gianluca Barbera, una guida che ci porta a seguire lo scrittore per mezza Europa, con al centro Milano e il Lecchese e un accenno anche al ramo comasco del Lario, dove Don Lisander conobbe la futura moglie Enrichetta Blondel, nella villa Belvedere di Blevio, grazie a un “appuntamento combinato” dalla zia e dalla madre.

Uno dei ricordi più umani, e allo stesso tempo più importanti e universali, di Manzoni e della sua opera, lo trovate nell’archivio de “L’Ordine” (http://ordine.laprovincia.it), in un’intervista che Vittorio Colombo fece a Luis Sepúlveda nel 2015. Lo scrittore cileno, portato via dal Covid tre anni fa, salutò il conferimento del “Premio Alessandro Manzoni” con parole che rendono merito anche ai bravi insegnanti, quelli che la letteratura la fanno amare, prima che analizzare: «Con questo premio tra le mani penso al mio vecchio professore di letteratura, al liceo di Santiago, un uomo che si emozionava tantissimo con la lettura. Un giorno arrivò con un romanzo di Manzoni, “Los novios”, i Promessi Sposi, e ci disse: “Con questo libro comincia la modernità della letteratura italiana, di quella europea e di parte della letteratura universale”. Ora quel mio professore non c’è più, ma se da lassù può vedermi sarà certo contento di sapere che molti anni dopo un suo allievo ha ricevuto in Italia il Premio Alessandro Manzoni».

© RIPRODUZIONE RISERVATA