Quei valtellinesi d’oltreoceano

l problema dell’emigrazione che incomincia ad interessare la nostra valle subito dopo l’unificazione, è sentito dalle riviste valtellinesi che periodicamente riportano dati, statistiche, notizie e consigli. I settimanali, interessandosi al problema e seguendo la situazione non sempre favorevole all’emigrazione, cercano di sottolineare i pro e i contro di questo aspetto e, a seconda dell’indirizzo del giornale, a volte accentuano solo il lato positivo dell’emigrazione, a volte invece il lato negativo.

Il settimanale “La Valtellina” (del 15 settembre 1861) in un articolo di fondo, parlando dell’emigrazione verso l’America, dice che da qualche tempo è invalso anche nei valtellinesi il proposito di emigrare per le Americhe, e aggiunge che, se è fuori di dubbio il bisogno generale della presenza dei giovani operosi nella nostra valle, non è meno vero che i vantaggi che offre il nuovo mondo ai nostri emigranti sono ancora molti. Parlando in questo modo, cerca di incoraggiare ad emigrare e dà speranza ai nostri emigrati.

Anche “Lo Stelvio” (del 7 settembre 1868), parlando della emigrazione, dice che la principale cagione è la speranza che il sudore frutti meglio in terre lontane. Naturalmente il valtellinese, partendo, non dimentica i suoi monti, la sua casa, il suo podere. La sua ambizione è quella di fare ritorno in patria per rifabbricarsi la casa, e acquistare dei terreni che gli darebbero agio di vivere. Il settimanale concludendo dice che i nostri emigranti, uscendo da questi monti e venendo a contatto con differenti popoli civili, si formano un’idea delle loro industrie, riportando a casa una certa tendenza a rinnovare. Meno propenso all’emigrazione è invece il “Corriere Valtellinese” (del 13 gennaio 1873) che in un articolo intitolato “Ai nostri emigrati” scrive che l’emigrazione è una cosa nuova per la Valtellina. Il contadino e il piccolo proprietario, che posseggono poche pertiche di terreno, sono le categorie che danno il maggior contingente all’emigrazione.

Avanti nel tempo

Pochi anni dopo, “La Valtellina” (del 15 marzo 1878), in un articolo rivolto agli emigranti, denuncia la miseria che esiste nel Brasile e invita gli emigranti a non dirigersi in quel Paese. Anche il “Lavoratore Valtellinese” (del 24 marzo 1900) segue il problema soprattutto a cominciare dal 1900, quando il fenomeno tocca punte più alte. Parla di emigrazione temporanea e permanente, e dice che per scarsità di lavoro e mancanza di industrie nella nostra valle l’emigrazione è una conseguenza necessaria.

Così ricorda l’emigrazione delle ragazze in Svizzera nei filatoi di lana. È sempre “Il Lavoratore Valtellinese” che scrive che l’emigrazione continua ad aumentare anche nella lontana Australia. Come già detto in precedenza, gli anni in cui più alta è stata la percentuale degli emigranti sono gli anni che vanno dal 1900 al 1914 e i settimanali che seguono in particolare questo problema sono “L’Adda” e “La Montagna”. A questi settimanali sta a cuore il fenomeno dell’emigrazione e propongono la fondazione di un segretariato dell’emigrazione, istituzione necessaria quanto mai urgente.

Così nel 1908 tale segretariato funziona già e, come dice sempre “L’Adda” (del 28 maggio 1908), compito dell’ufficio pro emigrazione è quello di assistere gratuitamente, di tutelare e di consigliare l’elemento migratorio dando ad esso informazioni sulle condizioni di lavoro e di paga, indirizzarlo verso quelle zone dove la manodopera è realmente richiesta. Un consiglio urgente che “L’Adda” dà agli emigranti è quello di non andare nella Svizzera senza aver domandato istruzioni al suo segretariato perché il lavoro nella vicina nazione continua ad essere poco favorevole; inoltre ricorda che è assolutamente necessario il passaporto. Infatti dall’Engadina si nota già l’allontanamento di molti emigranti.

In un articolo “La Montagna” (del 23 novembre 1912) dice che per la Valtellina l’emigrazione è fattore primo dell’economia della regione. Continua dicendo che dalla provincia partono ogni anno, secondo le statistiche ufficiali circa 7000 persone, delle quali 5000 si dirigono in Svizzera, 1500 nelle Americhe del Nord e del Sud e 500 nell’Australia; c’è prevalenza di emigrazione continentale su quella transoceanica, di quella temporanea su quella permanente.

È sempre lo stesso settimanale che, parlando a difesa degli emigrati, in un articolo intitolato “La questione degli alloggi” afferma che uno dei lati più tristi dello sfruttamento padronale nei Grigioni consiste appunto nella questione degli alloggi. Riportiamo un esempio a titolo indicativo: «In un magazzino dove fino a qualche tempo fa vi era in deposito della calce, ora dimorano ben 24 persone. Il pavimento è fatto di terriccio misto a segatura». Come vivono i nostri emigranti in Svizzera, ce lo dice ancora “La Montagna” (è il 15 novembre 1913) che scrive che da un salario minimo di 5,50 franchi per manovali, si sale a un massimo di 8-9 per i minatori. Ma il costo della vita è assai alto rispetto agli stipendi, e gli operai si lamentano di non poter più fare seri risparmi ed inviare il solito denaro alle famiglie.

I problemi e le difficoltà alle quali vanno incontro i nostri emigranti sono di non lieve entità. A volte varcano l’oceano senza sapere non solo una parola della lingua straniera, ma a stento sanno leggere e scrivere. Nel frattempo in America era stata votata una legge tendente ad escludere da quella Confederazione tutti gli emigranti analfabeti. Questa grave decisione colpisce non solo gli analfabeti veri e propri ma anche i semi-analfabeti che vengono incoraggiati a frequentare i corsi di preparazione per non trovarsi in seguito esclusi.

La Grande Guerra

Intanto, lo scoppio della guerra (del 15-18) porta come conseguenza immediata la disoccupazione improvvisa, causata dalla cessazione dei lavori sui mercati esteri. “La Montagna” scrive (l’8 agosto 1914) che gli operai devono ritornare in gran numero dai Paesi lontani senza poter riscuotere i loro salari per la chiusura delle banche indigene. In un articolo scrive che la Prefettura ha preparato con l’aiuto dei sindaci, la statistica esatta dei rimpatriati. La maggioranza degli uomini sono muratori e braccianti, le donne sono nella maggior parte addette ad alberghi.

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