I rischi dell’endometriosi: sono tre milioni i casi in Italia

Approfondimento Si tratta di una malattia dell’apparato genitale femminile, che colpisce tra il 10 e il 25% delle donne in età fertile. Il ginecologo Paolo Beretta: «È una patologia largamente sotto stimata, con un ritardo diagnostico di circa 7 anni»

L’endometriosi è una malattia dell’apparato genitale femminile che può essere causa di dolore o infertilità. Si tratta di una patologia molto diffusa, ma ancora oggi c’è molto sommerso in quanto spesso errori diagnostici portano a un ritardo, anche di anni, nell’individuazione della problematica. Fondamentale intercettare la malattia precocemente per contrastarne i danni derivati.

«L’endometriosi – spiega Paolo Beretta, primario della Ginecologia Ostetricia di Asst Lariana - può essere definita come una malattia infiammatoria cronica benigna che interessa, prevalentemente, gli organi genitali femminili e il peritoneo pelvico, caratterizzata dalla presenza anomala, in queste sedi, di cellule endometriali che, in condizioni normali, rivestono la cavita uterina».

La malattia può svilupparsi in varie sedi: nelle ovaie (la forma più diffusa), nel peritoneo pelvico, negli organi pelvici come vescica, intestino e uretere, ma anche in organi o tessuti che sono posti al di fuori delle pelvi, come ad esempio la pleura. Un’altra localizzazione frequente è nello spessore della parete uterina (adenomiosi).

In Italia si stima che circa il 10-25% delle donne in età riproduttiva soffra di endometriosi. La patologia interessa circa il 30-40% delle donne infertili. Le donne con diagnosi conclamata sono almeno 3 milioni.

Le cause della malattia

«Il picco – aggiunge il primario - si verifica tra i 25 e i 35 anni, ma la patologia può comparire anche in fasce d’età più basse, a partire dell’adolescenza. È importante sottolineare che si tratta di una patologia largamente sotto stimata, con un ritardo diagnostico di circa sette anni, a causa di nozioni arretrate e non corrette purtroppo ancora diffuse». Le cause della malattia, come sottolinea lo specialista, non sono ancora del tutto conosciute. Tra le ipotesi più accreditate c’è quella della “mestruazione retrograda” che ipotizza che, durante la mestruazione, ci sia un reflusso di sangue dall’utero attraverso le tube, che determini un passaggio di cellule endometriali sul peritoneo e sugli organi pelvici. Lo stato immunologico della paziente contribuisce in maniera decisiva al suo sviluppo.

Altre teorie sostengono che l’endometriosi derivi da una modificazione ex novo del peritoneo che ricopre le pelvi (metaplasia) attraverso un processo innescato da fattori esterni, come sostanze chimiche che disturbano il sistema endocrino (inquinanti ambientali) o interni, come alterazioni ormonali o che la disseminazione delle cellule endometriali avvenga per via linfatica o ematica, giustificando le forme extrapelviche.

«Le donne che hanno la madre o una sorella affetta da endometriosi – dice Beretta – hanno, inoltre, un rischio di sviluppare la malattia sette volte maggiore rispetto alla popolazione generale, ponendo le basi di una possibile componente familiare della patologia».

Spesso la patologia è asintomatica e viene individuata solo nel corso di una visita ginecologica con ecografia eseguita di routine o in occasione di un intervento laparoscopico, in genere quando si registrino problemi di infertilità.

Per quanto riguarda i sintomi i più comuni sono: dolore pelvico cronico persistente per più di sei mesi, dismenorrea secondaria tardiva, dolore intenso associato alle mestruazioni spesso non presente nei cicli precedenti e con particolare intensità verso la fine del ciclo. Il dolore può manifestarsi anche durante i rapporti sessuali, la minzione o la defecazione. Possono verificarsi anche sintomi gastrointestinali come gonfiore, nausea, stitichezza o diarrea. Nelle forme più avanzate, come detto, l’endometriosi può essere causa di infertilità. «La diagnosi prevede una visita ginecologica – precisa il primario - nel corso della quale si deve approfondire l’anamnesi specifica per ricercare i sintomi propri di questa patologia. La visita deve prevedere anche esami strumentali come l’ecografia transvaginale e in alcuni casi anche una risonanza magnetica della pelvi. Talvolta è necessario sottoporre la paziente a laparoscopia, l’intervento chirurgico mini invasivo che permette di confermare la diagnosi, ma soprattutto di trattare la malattia».

Fans e contraccettivi orali

Non esiste oggi una cura definitiva per l’endometriosi. Esistono però delle strategie che possono aiutare a limitarne conseguenze e sintomi. «Essendo una patologia complessa ed eterogena – aggiunge - l’approccio può variare da paziente a paziente e richiedere la collaborazione tra specialisti. Questo, infatti, potrebbe essere farmacologico e/o chirurgico. Spesso è la combinazione di queste strategie a dare i risultati migliori».

Tra le terapie mediche ci sono l’utilizzo dei Fans (Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei), dei contraccettivi orali, nelle loro diverse combinazioni di somministrazione, e di altri farmaci che hanno lo scopo non solo di bloccare la produzione ormonale ovarica ma anche ridurre la proliferazione endometriale (progestinici).

«La terapia chirurgica – precisa - deve essere presa in considerazione soltanto in assenza di alternative. È indicata infatti in quelle pazienti sintomatiche che non rispondono alla terapia medica oppure con voluminose cisti ovariche, soprattutto se in accrescimento e con dubbi diagnostici. La chirurgia mini invasiva laparoscopica è senza ombra di dubbio la tecnica da preferire essendo considerata il Gold standard per il trattamento dell’endometriosi. Oggi nella nostra realtà ci avvaliamo anche di tecnologie avanzate come il Laser a diodi per ridurre ulteriormente il trauma sui tessuti».

Utile anche la fisioterapia dedicata in particolare al rinforzo del pavimento pelvico, così come il supporto del nutrizionista e di uno psicologo in quanto la patologia ha un forte impatto sulla qualità di vita.

«La scelta del professionista – dice il primario - a cui rivolgersi in caso di sintomi riferibili alla presenza di endometriosi, dovrebbe ricadere su ginecologi specialisti in questo ambito che sono dedicati, per loro provata competenza, alla gestione della fase diagnostica ecografica e di quella terapeutica chirurgica mini invasiva». La unità operativa diretta da Paolo Beretta ha un ambulatorio settimanale dedicato al quale si accede su appuntamento, attraverso i consueti canali, con la ricetta del proprio medico (con indicazione di endometriosi o sospetta endometriosi).

Il ruolo dell’alimentazione

Non è raro, come detto, un ritardo nella diagnosi che varia tra i quattro e gli 11 anni. «Vari fattori contribuiscono a questo ritardo, sia a causa della sottovalutazione dei sintomi che di errori nella diagnosi – conferma Beretta – al ritardo contribuiscono convinzioni tramandate, soprattutto nelle ragazze giovani, che il dolore mestruale sia un dolore “normale, visto che l’hanno avuto anche le loro mamme e nonne, quindi prima o poi passerà. Spesso, inoltre, prima di arrivare dal ginecologo fanno un percorso che parte dal medico di famiglia e si muove tra diversi specialisti non dedicati ed è proprio questa la causa non solo del ritardo diagnostico, ma anche della sensazione frustrante di “non essere capite” che spesso le pazienti provano».

L’alimentazione è un valido aiuto per contrastare gli effetti della malattia. In particolare, un piano dietetico mirato, indicato da uno specialista, ha l’obiettivo di migliorare la risposta insulinica e la sintomatologia globale dell’endometriosi, attraverso la combinazione di cibi ad azione antifiammatoria, disintossicanti e privi di ormoni, quest’ultimi noti per essere la benzina che fa avanzare la patologia.

I fattori di rischio che possono peggiorare o scatenare l’infiammazione sono, inoltre, la sedentarietà, il fumo di sigaretta e il sovrappeso. Quindi, oltre a un’alimentazione bilanciata, è importante anche seguire uno stile di vita sano.

© RIPRODUZIONE RISERVATA