Nefropatie, rete di ospedali: un aiuto ai pazienti in dialisi

L’approfondimento Si chiude un progetto finanziato a cavallo del confine con fondi “Interreg”: coinvolti centri sia italiani sia svizzeri. L’obiettivo? La creazione di una piattaforma che oggi può favorire la mobilità di chi si sottopone a terapia salvavita

«Partendo dalla consapevolezza che la dialisi è un trattamento salvavita, non è tuttavia accettabile che un paziente debba stare male in corso di terapia, pertanto, l’obiettivo da perseguire è certamente di prolungare l’aspettativa di vita, migliorandone la qualità».

Gianvincenzo Melfa, primario della Nefrologia e Dialisi all’ospedale Sant’Anna, riassume così l’obiettivo di InterActive-Hd 2.0, una nuova piattaforma tecnologica nata proprio per migliorare la vita dei pazienti in dialisi.

Dopo due anni di ricerca e sperimentazione, infatti, si è concluso questo progetto nato con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita dei pazienti in dialisi e rendere uniforme il trattamento sul territorio, attraverso la creazione di una robusta piattaforma tecnologica. Il progetto, finanziato dal programma Interreg Italia Svizzera, vede tra i partner Politecnico di Milano - Polo di Lecco (capofila italiano) e Fondazione Politecnico di Milano, Asst Lariana, Asst Sette Laghi, Asst Valtellina e Alto Lario, Ente Ospedaliero Cantonale (capofila svizzero) e Kantonsspital Graubünden.

La prima fase

Si stima che in Italia circa il 10% della popolazione soffra di una malattia renale cronica. Con sempre maggiore frequenza la patologia raggiunge un livello di gravità tale da richiedere il ricorso a terapie salvavita, i dati parlano di 50mila pazienti sottoposti a trattamento dialitico nel nostro paese, con un incremento del 2% all’anno. Tra questi pazienti la mortalità dovuta a patologie cardiovascolari è venti volte superiore a quella della popolazione generale, a causa di fattori di rischio legati alla grave insufficienza renale. In prospettiva futura è quindi fondamentale il ruolo della ricerca scientifica, chiamata allo sviluppo di nuove soluzioni, in grado di migliorare l’efficacia dei trattamenti dialitici. «Le malattie croniche – prosegue lo specialista - hanno un elevato impatto assistenziale e sociale e tra queste le nefropatie rappresentano senza dubbio una delle voci principali, sia per l’elevato numero di pazienti affetti, sia perché la malattia renale cronica porta progressivamente il paziente alla dialisi, comportando un ulteriore considerevole fabbisogno clinico e socio-assistenziale».

Il progetto vede una sinergia tra medicina e ingegneria biomedica e si basa su una piattaforma dove vengono registrate informazioni su pazienti dializzati al fine di favorire la mobilità di chi è costretto a sottoporsi a terapie salvavita. Se è vero, infatti, che l’emodialisi è una terapia che ha rivoluzionato la gestione clinica del paziente nefropatico, rimane però una enorme variabilità di tolleranza al trattamento, che implica la necessità di personalizzare la terapia sul singolo individuo. La possibilità di usufruire di un trattamento omogeneo, condiviso su una piattaforma online, in centri di cura differenti rispetto a quella di riferimento, offrirà al paziente maggiore autonomia e la possibilità di spostarsi sul territorio per svago o lavoro.

Al progetto hanno aderito 150 pazienti in cura presso gli ospedali coinvolti. «Il maggior numero di pazienti arruolati appartiene proprio al nostro Centro – conferma Melfa – siamo partiti con una quarantina di persone e di questi 23 hanno completato l’osservazione. Va tenuto presente che lo studio è stato condotto durante la pandemia Covid-19 che ha contribuito alla sospensione di alcuni pazienti per problemi clinici correlati».

La prima fase della sperimentazione ha visto l’aggregazione dei dati delle cartelle cliniche dei pazienti a quelli forniti dalle macchine per dialisi, le informazioni raccolte da quest’ultime possono infatti fornire una chiave di lettura della peculiare risposta al trattamento di ogni singola persona in cura.

Grazie al supporto di un team multidisciplinare di ingegneri (Laboratorio Artificial Organs @LaBS guidato dalla professoressa Costantino e Team Innovazione in Sanità @Dig guidato dalla professoressa Masella) e attraverso l’elaborazione di algoritmi e modelli matematici avanzati, sono stati restituiti dati aggregati che costituiscono un prezioso strumento di supporto per l’individuazione di trattamenti mirati e personalizzati. Si tratta infatti di informazioni che consentono al medico di ottimizzare l’approccio terapeutico al paziente, migliorando soprattutto i disturbi e malesseri che spesso insorgono durante e dopo il trattamento dialitico.

Algoritmi e “predizioni”

«Con InterActive-Hd 2.0 - dichiara Maria Laura Costantino docente del Politecnico di Milano - tutto il partenariato ha contribuito allo sviluppo di una serie di strumenti, in termini di sistemi informativi, protocolli, modelli, algoritmi, che hanno consentito la creazione della piattaforma tecnologica per la gestione del dato clinico relativo al paziente in emodialisi presso i centri di confine. Tale piattaforma ora in uso nei centri partecipanti al progetto potrà essere offerta anche ad altri centri che ritengono necessario preservare la qualità della vita dei pazienti in dialisi. Gli algoritmi elaborati durante il progetto permettono oggi di predire il rischio ipotensivo già ad inizio seduta con una accuratezza del 98% offrendo ai medici strumenti di intervento più tempestivi ed efficaci». Nello specifico gli studi, effettuati anche tramite l’utilizzo di dispositivi quali smart watch e magliette sensorizzate, hanno permesso di correlare il rischio ipotensivo con la variazione di parametri come la variabilità cardiaca, gli elettroliti e la qualità del sonno durante la notte precedente consentendo quindi approcci più adeguati nelle tempistiche e nella somministrazione della terapia.

Meglio in ospedale?

« Il lavoro di ottimizzazione della tecnologia – conclude Melfa– finalizzato a rendere omogenei i dati, attraverso il prezioso approccio multi professionale, è finalizzato al monitoraggio clinico del singolo paziente, consentendo di individuare quegli elementi predittivi che possono suggerire personalizzazioni del trattamento allo scopo di perseguire l’equilibrio cardiovascolare e quindi il benessere del paziente».

Migliorare la dialisi grazie alla tecnologia non significa solo migliorare la qualità di vita del paziente, ma anche avvicinare la dialisi stessa al domicilio. Un aspetto su cui da tempo si riflette. Il tema della domiciliazione, infatti, risulta ancora molto controverso perché il paziente percepisce la propria fragilità. Da un questionario somministrato ad un campione di 45 pazienti in cura negli ospedali coinvolti nella ricerca, risulta infatti che il 65% di essi preferisca proseguire con la dialisi presso un centro ospedaliero o in un centro di assistenza in prossimità del proprio domicilio. Solo il 18% dei pazienti preferirebbe dializzare a casa e una percentuale ancora inferiore (2%) lo farebbe con il solo supporto di un familiare. Tale preferenza sembra sia dovuta a un maggior senso di sicurezza offerto dagli ospedali e da centri affini, soprattutto in caso di imprevisti, oltre alla possibilità di condividere emotivamente l’esperienza con altri pazienti in cura. Soluzione ideale sembra quindi il potenziamento della rete dei centri di assistenza sul territorio. Il poter usufruire di una piattaforma tecnologica su ampia base territoriale che agevoli la condivisione di protocolli per la gestione dei trattamenti dialitici tra diversi centri ospedalieri, consentirà l’adozione di un approccio paziente-specifico al trattamento, rispondendo appieno alle esigenze del paziente dialitico.

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