Radiologia interventistica: un nuova tecnica per la dialisi in arrivo dagli Stati Uniti

Intervista Dagli Usa al Sant’Anna, una procedure innovativa per la creazione della fistola arterovenosa dei dializzati. Il radiologo Davide Fior: «È un intervento mini invasivo, veloce, senza tagli e con meno complicanze»

Al Sant’Anna arriva una nuova tecnica per la creazione della fistola arterovenosa da dialitisi, la radiologia interventistica permette di superare la chirurgia. Il nostro ospedale è uno dei primi in Italia ad aver sperimentato una procedura innovativa proveniente dagli Stati Uniti utile ai tanti pazienti che necessitano di dialisi. La nuova tecnica permette di ottenere un risultato simile all’intervento chirurgico, riducendo però le possibili complicanze e i tempi operatori. La nuova tecnica è stata eseguita dal dottor Davide Fior e dal primario Lorenzo Moramarco, insieme agli specialisti della Nefrologia.

Dottor Fior, ci spiega meglio il senso di questa novità?

Al Sant’Anna c’è una grossa unità di dialisi per i tanti pazienti con insufficienza renale cronica. Per colpa di questa patologia i reni non svolgono più le loro funzioni di depurazione e di controllo dei liquidi per cui occorre filtrare il sangue attraverso una circolazione extracorporea. Viene prelevata una grande quantità di sangue che passa attraverso un macchinario e che viene poi restituita al paziente. Questo trattamento viene eseguito per alcune ore, diverse volte a settimana. Per riuscirci serve un flusso di sangue elevato, un accesso vascolare di grosse dimensioni. Con una normale vena il processo richiederebbe troppe ore. Perciò con un’operazione si collega un’arteria ad una vena così che il calibro della vena si ingrandisca garantendo un flusso di sangue elevato, con la possibilità di pungerlo più volte. Per anni si è fatto ricorso alla sola tecnica chirurgica.

E non andava bene?

Intanto questa operazione chirurgica si può fare solo a determinate condizioni. Il paziente deve avere dei vasi in buono stato, un fatto sempre più raro negli ultimi anni visto l’invecchiamento della popolazione. Inoltre se la fistola non è una strada percorribile si può inserire una protesi, un tubicino artificiale per attaccare vena e arteria. Altrimenti si usa un catetere in una grossa vena, la giugulare o la femorale. Queste soluzioni però hanno un maggior rischio infettivo e durano meno.

Quindi?

Negli ultimi anni in America hanno sperimentato un modo per creare delle fistole artero venose non con la chirurgia, ma con un metodo endovascolare. Un vantaggio per esempio per gli immunodepressi ad alto rischio infezione. Senza raggi x, senza mezzo di contrasto che è nefrotossico, soprattutto per chi ha un insufficienza renale. E senza incisione. Risaliamo con un ago dai vasi lasciando alla fine solo un piccolo forellino come dopo un normale prelievo.

In cosa consiste precisamente?

Occorre fare un’ecografia delle vene e delle arterie su cui andare a lavorare. Si punge la vena in anestesia locale, avanzando sempre sotto la guida dell’ecografo. Quando l’arteria è vicina facciamo passare un filo con un piccolo catetere di tre millimetri circa. Lo sviluppo dell’energia termica crea una fistola, mette in comunicazione vena e arteria. La procedura dura venti minuti. Così riduciamo complicanze ed emorragie.

Si può fare sempre?

No, ci sono dei requisiti anatomici. Arteria e vena devono essere vicine. La conformazione anatomica dei vasi nelle persone è molto variabile. Diciamo che in genere nel 50% dei casi si può procedere.

È una fistola che rimane?

Questa tecnica endovascolare è nuova, non abbiamo uno storico molto lungo. Però in America il follow up arriva già a quattro, cinque anni e confidiamo duri molto di più. La fistola chirurgica tradizionale per la dialisi in alcuni casi si può usare anche per 10, anche 15 anni. L’importanza di questa nuova tecnica è che offre un’alternativa a molti pazienti che non possono essere sottoposti all’intervento chirurgico per la fistola e che devono altrimenti fare ricorso a protesi o cateteri. E poi si tratta di una procedura mini invasiva, veloce, senza tagli e con meno complicanze.

I vantaggi della radiologia interventistica?

La radiologia interventistica è poco conosciuta eppure compre molte aree. Semplificando si può dire che noi interventisti se un vaso sta sanguinando possiamo entrare e chiuderlo. Se invece il vaso è ostruito possiamo risalire e liberarlo. Questo processo si apre a tantissime possibili applicazioni.

Per esempio?

Al Sant’Anna lavoriamo molto sulle urgenze. Le emorragie, le complicanze da intervento chirurgico, gli eventi di tipo ischemico, quindi gli ictus.

Oppure?

Poco tempo fa i miei colleghi hanno aiutato una donna che aveva appena partorito. A distanza di alcune ore ha accusato forti dolori pelvici a fronte di un grave sanguinamento interno. Quindi la radiologia interventistica ha risolto senza fare ricorso a un intervento chirurgico tradizionale, peraltro non sempre risolutivo.

Aiutate anche la colonna vertebrale?

Sì, c’è un vasto campo di tecniche mini invasive tese a risolvere le fratture delle vertebre e le patologie spinali. La vertebroplastica consiste nell’iniettare sostanze sintetiche che stabilizzano la vertebra.

Testicoli e utero?

La radiologia interventistica è una soluzione utile anche al varicocele maschile. Vengono chiuse le vene che drenano il sangue ai testicoli il cui ristagno è patologico e può comportare infertilità. In maniera simile agiamo sul varicocele pelvico femminile, con un ristagno ematico a livello dell’utero.

Emorroidi?

L’embolizzazione per la patologia emorroidaria, introdotta da pochi mesi al Sant’Anna, è una procedura mini invasiva endovascolare, senza dolore postoperatorio e praticabile anche su pazienti pluripatologici ad alto rischio chirurgico, anche in day hospital.

Per finire con l’oncologia?

Certo, veniamo spesso chiamati dagli oncologi per effettuare dei trattamenti ablativi per le lesioni neoplastiche. Con i nostri aghi andiamo a colpire le formazioni tumorali, in particolare epatiche, renali e ai polmoni. Pungendo direttamente il nodulo neoplastico andiamo a bruciare le cellule tumorali. Più di recente a Como con la stessa tecnica abbiamo iniziato anche a congelare queste formazioni, infatti in alcuni casi la crioablazione offre dei risultati migliori.

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