Sandro Colombi (Uilpa). La crescita del PIL deve premiare chi produce la ricchezza

Le recenti notizie sullo stato della nostra economia sono confortanti. Lo certifica l’OCSE, lo conferma il governo e le stime sul PIL fanno ben sperare: +5,9% per il 2021 e + 4,8% per il 2022. L’Italia ha ripreso a correre, mentre gli esperti avvertono che questi livelli di crescita potranno essere resi strutturali grazie alle riforme previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). 

Tutto bene, dunque? Non proprio. Al 30 giugno 2021 risultavano scaduti 610 contratti collettivi nazionali di lavoro (pari al 61,9% del totale) rispetto alle scadenze fissate. Il record spetta alla Pubblica Amministrazione, con il 100% degli accordi in over time da tre anni. Una delle conseguenze più tangibili di questi ritardi è la perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni dei lavoratori. Fenomeno che non investe solo i dipendenti pubblici, ma anche quelli privati con l’85,7% di contratti scaduti nel Credito-Assicurazioni, l’81,8% nei Poligrafici-Spettacolo, il 72% nell’Edilizia e ci fermiamo qui, ma gli esempi potrebbero continuare. Senza contare che entro il secondo semestre 2021 è prevista la scadenza di altri 81 contratti collettivi nazionali e 117 andranno a scadere nel corso del 2022. Dinanzi a questa situazione si impone una domanda: quanti di questi contratti saranno rinnovati?

Se oggi il PIL nazionale vola dopo la grande frenata nell’anno del Covid è solo grazie alle straordinarie performance di produttività e di efficienza delle imprese private e della Pubblica Amministrazione. La maggiore ricchezza del Paese è generata dal lavoro degli addetti alle linee di produzione e dagli operatori pubblici impegnati nell’erogazione dei servizi alla collettività: welfare, sanità, istruzione, sicurezza e così via. Nella realtà delle cose si tratta di lavoratori che stanno sopportando ritmi e carichi di lavoro sempre più pesanti (che causano i gravissimi incidenti di cui abbiamo quotidianamente notizia) per garantire i successi dei quali oggi la nostra economia va giustamente fiera. Ma con quale ritorno?  

Non è solo questione di aumenti in busta-paga. Formazione, riforma dell’ordinamento professionale, criteri di premialità, sistemi incentivanti, benessere organizzativo, bilanciamento tra vita lavorativa e professionale, previdenza integrativa sono istituti del rapporto di lavoro che i dipendenti della Pubblica Amministrazione attendono di discutere con le controparti datoriali per potenziarli e valorizzarli.  E il motivo è presto detto: attraverso questi istituti una parte della ricchezza prodotta ritorna ai produttori sotto forma di una politica occupazionale espansiva e di una migliore qualità complessiva delle condizioni di lavoro. E non è una questione di interesse di parte. La buona occupazione fa bene a tutta l’economia perché facilita i consumi traducendosi in crescita del PIL. 

I 300.000 posti di lavoro pubblici a tempo indeterminato persi per volontà politica negli ultimi 15 anni sono ricchezza sottratta al futuro del Paese. Ecco quali sono i punti di crescita del PIL da rendere strutturali. E per quanto ci riguarda, saremo ben felici di ascriverli al vanto dei Ministri economisti, se manterranno l’impegno di restituirli stabilmente alla disponibilità delle future generazioni.

Sandro Colombi, Segretario generale UIL Pubblica Amministrazione

Roma, 9 settembre 2021   

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