Como, vince la cultura
che sa fare rete

Prove tecniche di una aspirante “Capitale della cultura italiana”. Si potrebbe riassumere così il lungo weekend pasquale, che ha visto migliaia di persone riversarsi in città attratte dal binomio cultura & paesaggio. Una “città” allargata ai comuni limitrofi, Cernobbio e Brunate, che hanno non a caso affiancato il capoluogo nella candidatura a “reginetta” per il 2016/2017.

Dal parco di Villa Erba, aperto ai visitatori e interessata da una “Caccia al tesoro botanico” promossa a livello nazionale da Grandi Giardini, alle code per salire sulla funicolare, passando per le 1381 persone che nel solo pomeriggio di Pasquetta (3200 in totale nei primi quattro giorni di apertura) hanno visitato la mostra delle sculture di Eli Riva a Villa Olmo: tutti gioielli che avevamo già in casa, che appartengono a questo territorio e che, come molti altri, attendevano soltanto di essere valorizzati.Così come i paesaggi ottocenteschi di Francesco Capiaghi esposti in questo periodo in Pinacoteca e nei musei e il luminoso genio di Volta, il cui Tempio è dimezzato da nove mesi per (incredibile a dirsi) mancanza di manutenzione.

Verrebbe voglia di mettere tra parentesi, almeno in questa analisi, i conseguenti disagi patiti ieri in città e sul lago - in parte conseguenza della mobilitazione di massa, certo, e in parte di un ritardo epocale di Como nel disincentivare l’uso dei mezzi privati a favore di un sistema di trasporto pubblico integrato - ma non è possibile e non sarebbe giusto. Non si può far finta di niente, proprio perché si sta parlando di sostenere e promuovere la bellezza di cui è ricco il Lario. Qualcuno può sostenere oggi che la mobilità non sia parte integrante e fondamentale della cultura di un popolo, di una città, di ciascun individuo? E che non sia strettamente correlata a tematiche come il rispetto dell’ambiente e anche delle opere d’arte e degli edifici storici? Già, speriamo tutti che la “Grande Como” sia incoronata regina della Cultura italiana dal ministero per il prossimo anno, e che se non dovesse farcela sappia cogliere comunque l’occasione per tirare a lucido i propri tesori e riprovarci un’altra volta. Ci auguriamo anche, come gli amministratori comunali, che si creino le opportunità perché di questa nuova Como, non più solo città della seta, ma anche del turismo culturale, diventino simboli edifici più (il primo) o meno bistrattati, come il Politeama e l’ex Casa del Fascio, ma non per consegnarli all’assedio delle automobili, alla stregua della povera fontana di Camerlata che è pur sempre anch’essa un monumento razionalista, nonché un “biglietto da visita” per chi entra in convalle.

Tornando al patrimonio culturale in senso stretto, l’esperienza di questi ultimi giorni, nonché dei vent’anni precedenti in cui un numero progressivamente crescente di soggetti sul Lario ha creato quella rete di iniziative e talenti finalmente colta e sintetizzata nel dossier che gli enti locali hanno presentato al ministero a fine marzo, insegna (o meglio, ribadisce) due cose: che per animare davvero l’intera città, è fondamentale fare rete e creare sinergie tra pubblico e privato. Per cogliere l’occasione di cambiamento e rinascita che si presenta a Como, a prescindere da chi riceverà lo scettro di Capitale della cultura, dobbiamo davvero impegnarci tutti.

La mostra dell’ultimo dei Magistri Cumacini, Eli Riva, non si sarebbe fatta senza il concorso, anche economico, tra la famiglia dell’artista, l’associazione a lui intitolata e il Comune. E apre una primavera- estate all’insegna delle sinergie culturali: il primo (almeno per anzianità) dei festival comaschi, ParoLario, anticipato dal 21 al 28 giugno sarà esteso anche a Cernobbio e Brunate e attorno, da maggio a fine luglio, vedrà susseguirsi Miniartextil, Como Città della Musica, il Lake Como Film Festival e molte altre manifestazioni, che in diversi casi proporranno iniziative in comune e passaggi di testimone.

Anche il pubblico deve fare la sua parte. Una domanda che in questo periodo assilla i promoter è “fino a che punto”. Ovvero, posto che non si può più pensare che la cultura in Italia debba vivere quasi esclusivamente di finanziamenti pubblici e che si potrà parlare di industria culturale solo quando mostre, musei e festival produrranno reddito come il molti altri Paesi, il pubblico quanto deve concorrere? quando è giusto far pagare un biglietto e quando no? Se l’ingresso alla mostra di Eli Riva fosse stato a pagamento, quanti dei 1381 visitatori di ieri l’avrebbero evitata e quanti invece avrebbero contribuito ad alimentare “Como città della cultura”? Per conoscere la risposta, prima o poi bisognerà correre dei rischi.

© RIPRODUZIONE RISERVATA