Il coro cittadino
diventa tradizione

Il visitatore occasionale, o poco informato, potrebbe ricevere della città un’impressione piuttosto curiosa. «Buongiorno, c’è l’avvocato?» «No, è alle prove dei Carmina Burana. Vuol lasciare un messaggio?» «Salve, posso prendere un appuntamento con il dottore?» «Certo! Domani può vederla tra il primo e il secondo atto della Cavalleria Rusticana. Che faccio, confermo?»

Scenette possibili, a Como. La seconda resa inverosimile dal fatto che la “Cavalleria Rusticana” di Mascagni è un’opera in atto unico e il paziente, insistesse a farsi visitare, dovrebbe salire sul palcoscenico con Turiddu, Santuzza, Alfio e compagnia bella: non proprio il contesto ideale per farsi provare la pressione. Il resto, dicevamo, è possibile. Questo perché l’opportunità offerta alla cittadinanza di partecipare direttamente agli allestimenti del Teatro Sociale da avvenimento straordinario in occasione di una ricorrenza altrettanto eccezionale (il bicentenario) muove ora il primo passo per diventare un’abitudine e, chissà, con il tempo, perfino una tradizione.

Dai Carmina Burana alla Cavalleria Rusticana il passo non è brevissimo ma, per il teatro comasco, è comunque ben inscritto in un percorso utile a tenersi stretto l’affetto della città. Come ha intuito con prontezza e intelligenza la direttrice Barbara Minghetti, non c’è modo migliore per i comaschi di apprezzare il loro teatro che diventarne parte: non è un’idea del tutto inedita, visto che il legame si realizzava già, almeno in parte, attraverso la Società dei Palchettisti, ma è uno spunto - anzi, un progetto: il “Progetto per la città” - portato a compimento e a logica soluzione. La proposta del Teatro è efficace su più livelli: garantisce la continuità dell’istituzione con la comunità locale, avvicina il pubblico alla cultura - e il melodramma, come ha sottolineato ieri in un’intervista il regista Graham Vick, ne ha particolarmente bisogno - e, se ci è concesso dirlo, appaga l’umanissimo desiderio di molti di eleggersi protagonisti, apparire in prima fila, “farsi vedere” se si vuole: lo diciamo con il rispetto e il dovuto apprezzamento per chi, comunque, vorrà impegnarsi in questa sfida.

Mossa abile, dunque, e soprattutto utile. Tanto da farci ribadire ancora una volta: bene sarebbe se la città intera prendesse esempio dal Teatro Sociale. Pensiamoci: quante volte abbiamo visto la città cantare in coro, in perfetta armonia, come durante i Carmina Burana della scorsa estate? Di solito, la cacofonia è stridente: uno fa proclami sulla Ticosa, l’altro borbotta sulla zona a traffico limitato, un terzo abbaia ai primi due prendendo a spunto le paratie. Vero che, in tempi recenti, abbiamo registrato qualche esempio di riconciliazione e di collaborazione ma ancora nulla in confronto all’armonia e alla comunione d’intenti che, pena un imbarazzante fiasco, deve regnare sul palcoscenico.

Piace dunque l’idea di una città che canta in coro e si unisce per mettere in scena un’opera. Non significa che non possano esserci divergenze, non vuol dire che le opinioni discordanti debbano essere messe al bando: l’unica metafora accettabile è quella che vede tutti i comaschi tenere sempre in mente il bene della città, così come i membri di un cast devono costantemente pensare al risultato finale. L’alternativa, come tenori e soprano sanno bene, sono i fischi e gli ululati dal loggione. Noi invece vorremmo tanti applausi e l’unico a rimetterci, per esigenze di copione, dovrà essere il povero compare Turiddu.

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