Il fondo perpetuo
e il treno da perdere

Agli sportelli di enti e associazioni ieri non si è sentita più un’espressione: abbiamo toccato il fondo.

Ma è perché ormai siamo tutti convinti che un limite non ci sia mai. Si sono spesi anni a disquisire di semplificazione, periodicamente è piovuto l’annuncio gioioso del tale decreto che tagliava qui. Ma aggiungeva inesorabilmente da un’altra parte.

Si può rimproverare questo popolo di piangersi addosso. Non si possono però accusare gli imprenditori di essere visionari: quelli che ieri erano nei vari uffici a sbrigare incombenze, sanno bene che questa è

la drammatica realtà. Che dovrebbero pensare a produrre, ricercare, innovare. Invece, devono dedicare un impiegato alle pratiche burocratiche, tempo a cercare di farsi pagare, anche dalle pubbliche amministrazioni. Distogliersi dal cuore primario della loro attività.

Veniamo dai giorni della sinfonia suonata dalla Svizzera per attirare le nostre imprese. La Regione ha capito l’antifona, ha reagito. Ma a Roma sono troppo presi dalla musica prodotta da se stessi.

Il mondo produttivo doveva diventare un campo fiorito di regole (a giudicare dai proclami di tutti negli anni), è rimasto la giungla di prima: anzi, a ben vedere la vegetazione selvaggia si è infittita.

La stessa vicenda dell’Iva abita da queste parti, è frutto della stessa logica. Ma sì, facciamo partire l’aumento in barba a tutte le voci che implorano di lasciar perdere perché il mercato interno è già bloccato a sufficienza. E non solo, mostriamo che il fondo è lontano, si può ancora raggiungere con calma: non diamo indicazioni alle aziende, il giorno prima del rincaro, così possono gustare ancora un po’ di confusione. Che si ripercuoterà ulteriormente sul futuro, perché vogliamo proprio vedere se ci saranno sanzioni sull’applicazione e quali altri tortuosi percorsi assicureranno.

Non c’entra solo la capitale però. Prendiamo Como e il paradosso che si trascina: otto mesi dopo il blackout, mezza piazza Cavour ancora l buio.

Un iter lungo, incomprensibile agli umani, perché è tutto complicato, tanto più quando c’è anche un dialogo (a volte, mica troppo) tra enti diversi.

La città di Volta senza adeguata illuminazione ha il sapore dell’assurdo. E a proposito di assurdo, viene in mente il teatro di Samuel Beckett.

Ci sarà mai un serio risveglio da parte della politica per toglierci da queste follie? Oppure si comporterà da eterno signor Godot, sempre atteso, ma mai comparso?

Ora, tra i tanti aneddoti che riguardano Beckett e questa sua opera, ce n’è uno che riguarda un aereo. Si dice che un giorno lo scrittore irlandese fosse in procinto di partire e quando sentì «È il capitano Godot che vi parla», meditò seriamente sulla possibilità di scendere dall’aereo.

Noi da questo aereo non possiamo fuggire (anche se purtroppo sempre più giovani e imprenditori lo fanno) e diventa difficile capire se esistano piloti in grado di portarci verso una meta tranquilla, alternativa a quel fondo perpetuo.

Ma intanto siamo alle prese con un’altra metafora in movimento, quella che traveste la ripresa di treno: abbiamo sempre più la sensazione ci stia passando vicino (i segnali, anche nella nostra economia, non mancano) e che pur non riusciremo a salirci. Che ci sfreccerà vicino, anzi magari rallenterà e vedremo un capotreno con sorriso beffardo salutarci, mentre riparte e si allontana da noi.

Magari lanciandoci un regolamento. Di cui non avremo capito niente.

© RIPRODUZIONE RISERVATA