La città del Lario
ha creato un tesoro

Vincere non è un particolare da niente (c’è in ballo un milione di euro) ma, al di là dell’esito del concorso organizzato dal ministero per eleggere la capitale italiana della cultura, qualcosa a Como è già accaduto. Siamo cambiati senza, forse, essercene accorti. E non si tratta dell’impressione di un singolo, magari influenzata dal successo recente di alcuni eventi, ma di ciò che dicono i dati presentati ieri a Villa del Grumello e contenuti nello studio realizzato da Fondazione Symbola con Unioncamere. Bene, questo studio indica che Como si colloca tra le realtà più dinamiche a livello nazionale, tra le più capaci, per scendere nello specifico, di generare valore aggiunto nelle filiere della cultura e della creatività. Non è poco a pensare che le imprese di questi settori producono da sé, sempre a livello nazionale, qualcosa come 78 miliardi di euro e attivano un indotto che nel suo complesso vale circa 227 miliardi, il 15% del Pil nazionale (si calcola che ogni euro investito in cultura generi 1,7 euro sul resto dell’economia).

La cultura – non è uno slogan – è un pilastro del made in Italy: nel biennio 2012/2014, in piena crisi economica, le aziende che hanno investito in creatività hanno visto crescere il proprio fatturato. Numeri alla mano - per riprendere il presidente di Fondazione Symbola Ermete Realacci – non solo con la cultura l’Italia (e Como in particolare) mangia ma la cultura può essere l’elemento chiave per costruire un futuro all’altezza di ciò che siamo stati nel passato. Altri numeri relativi al contesto comasco: lo scorso anno il valore aggiunto prodotto dal sistema produttivo culturale privato è risultato in provincia pari al 6,9% del totale delle attività e tutti i parametri - fatturato, numero delle imprese, occupazione – indicano una crescita costante.

Como resta una città con un’antica tradizione manifatturiera ma non è più solo questo. Quella della cultura è diventata una partita decisiva per il futuro della nostra città, una partita che riguarda tutti e che sarebbe poco intelligente delegare in toto agli addetti ai lavori o ai rappresentanti istituzionali, una partita che va giocata lasciando da parte i pregiudizi. Sì, i pregiudizi, perché è ancora diffusa la convinzione che la cultura sia una materia destinata a un pubblico di nicchia oppure che sia più utile al turismo qualche fiore in più anziché uno spettacolo o una mostra di alto livello. Studi e ricerche - a cui non possiamo che rimetterci se l’obiettivo è alzare lo sguardo oltre il proprio naso – stabiliscono che le scelte dei turisti, soprattutto di quelli stranieri su cui il lago pare esercitare un irresistibile richiamo, hanno un legame evidente con l’industria della cultura e della creatività che ha sede naturale in un contesto così bello qual è il nostro. Se il presupposto è questo pare una provocazione di buon senso quella di destinare parte degli introiti della tassa di soggiorno (circa 800mila euro lo scorso anno) al circuito dei grandi eventi culturali a cui occorre dare, molto più di ora, certezze innanzi tutto sulle risorse a disposizione.

È possibile immaginare un salto in avanti in questo settore quando parte delle manifestazioni cittadine non hanno possibilità di fare una programmazione seria nel tempo perché si trovano costrette, ogni anno, a convivere con l’incertezza di sedi e finanziamenti sino all’ultimo momento? Ovviamente no. Il tema va affrontato anche se non saremo premiati dal ministero.

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