La mostra ci porti
una Como migliore

La grande mostra sull’architettura “Ritratti di città”, che si aprirà sabato prossimo a Villa Olmo, non ha ancora potuto contare su un battage adeguato, poca pubblicità, qualche cartello in centro ma nulla di più. Gli albergatori si sono lamentati di non aver ricevuto informazioni da divulgare ai clienti; si direbbe che la partenza dell’esposizione sia in salita.

Ma c’è chi in città sostiene che la grande mostra, anche se non catturerà l’attenzione di tutti, potrebbe essere un modo per dare una sveglia alla città. Come? Considerando l’architettura, tema della mostra, per quello che veramente deve essere, cioè qualcosa che rende migliore la vita. «Che crea ben-essere e che si misura in funzionalità e non in estetica», la frase è dell’architetto Darko Pandakovic che interviene oggi analizzando l’intervento del docente di Estimo al Politecnico su L’Ordine. E le parole di Pandakovic danno in effetti qualche idea che la città potrebbe cogliere e soprattutto coltivare. Per l’architetto, e la partenza della sua analisi non è di quelle che tirano su il morale il lunedì mattina, Como è una città triste, che siccome non esplode è destinata ad implodere. Triste, ma anche più di triste, arrabbiata. Perché? Beh, dice Pandakovic, perché nessuno si occupa di migliorare l’accesso alla città. Se già la mattina chiunque venga a Como si deve innervosire per il traffico che accompagna il suo viaggio verso la città, ditemi voi – è il senso del pensiero dell’architetto – come può essere felice e sorridente.

Ecco trovato il motivo, e da quanto lo si cercava, del muso che si vede a volte stampato sulle facce dei commessi dei negozi già all’alzata della saracinesca. E i parcheggi tolti per la famigerata ztl, vogliamo parlarne? Per Pandakovic un’azione fatta in modo troppo violento e che non poteva, per il metodo, che scontentare i comaschi. Altra strigliata riguarda l’obiettivo che Como si sarebbe posto da tempo per il suo centro storico. Como ha puntato tutto sullo shopping – dice Pandakovic – ha chiuso librerie e centri culturali solo perché sa che il sabato calano gli svizzeri con i soldi e comprano. Ma l’architetto si chiede giustamente se non sia il caso di puntare anche su altro oltre che sulle vetrine, che quando poi si spengono lasciano solo il buio. E con tutto questo dolersi cosa c’entra la grande mostra? C’entra sì perché se il suo contenuto venisse davvero inteso per quello che è, guardando le opere esposte si potrebbero capire quali errori sono stati fatti a Como in tema di mal-essere (architettonico e culturale che poi diventa esistenziale) e rimediarvi per arrivare alla meta del ben-essere. Ma si potrebbe andare anche oltre.

La mostra, visto che già un tentativo (che purtroppo non ha premiato il botteghino) è stato fatto l’anno scorso, potrebbe davvero diventare il pretesto per far conoscere ai visitatori l’architettura della città, farla criticare, magari, ma anche apprezzare, speriamo. L’anno scorso una coda della mostra era in Pinacoteca, anni fa, in occasione del celebrazione dei capolavori del Razionalismo in città era stato organizzato un interessante tour tra i capolavori architettonici che aveva fatto scoprire una città spesso segreta per gli stessi comaschi. La strigliata di Pandakovic si potrebbe allora raccogliere come invito a portare il senso della mostra anche fuori da villa Olmo, in modo da migliorare l’approccio della città con chi la vive e con chi vorrà venire a conoscerla. Per recuperare la funzionalità dell’architettura.

Finora l’unico, pregevolissimo tentativo di far “usare” a tutti l’architettura, e anche la storia, di Como resta quello dell’associazione Iubilantes che con il portale “camminacittà” permette di avere una super mappa e guida, molto più che turistica, nel proprio telefonino. Basta scaricare i contributi e usare le informazioni passeggiando fuori dai musei e vivendo la storia e l’architettura.

Espandere questi tentativi espanderebbe anche la mostra che rischia di essere percepita come troppo estetica e meno funzionale e che invece forse potrebbe contribuire al ben-essere di Como di cui parla Pandakovic.

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