Noi, ingenui imbrogliati
dai politici. E ci sta bene

In uno strepitoso intervento televisivo durante un soporifero talk show della mattina su Imu e dintorni, quel genio di Pietrangelo Buttafuoco ha ricordato che uno dei massimi autori del Novecento – Walt Disney – aveva affidato al sindaco di Paperopoli il compito di perseguitare a colpi di tasse il suo acerrimo nemico, l’avidissimo e tirchissimo miliardario Paperon de’ Paperoni. E proprio per questo motivo, il sindaco, disegnato come un maiale antropomorfo vessatorio, collerico ma molto spesso anche untuoso e servile nei confronti del potere costituito, ogni giorno si inventa una nuova tassa dal nome sempre più strampalato e fantasioso nella speranza di riuscire finalmente a incastrarlo. Insomma, grazie al caos normativo – e qui forse ci scappa una metafora - si può spremere al meglio l’odiato contribuente.

Ora, i personaggi creati da Disney sono molto più significativi di quelli che si aggirano da qualche decennio nelle nostre stanze del potere. Ma anche molto meno divertenti. Perché solo una classe dirigente composta da buontemponi, che si sentono dei falliti se non gli scappa almeno una battuta di spirito durante un Porta a Porta o – in ordine decrescente di importanza – durante un Consiglio dei ministri, poteva inventarsi una nuova tassa locale su casa e rifiuti dai nomi arbasiniani come Trise, Tari e Tasi. Ma anche perché, contrariamente agli autori di Paperino, che hanno lettori che fanno implacabilmente le pulci a intrecci e personaggi di ogni nuovo numero, sanno di aver a che fare con un parco buoi che in questi anni si è trangugiato talmente di tutto che è ormai in grado di sguazzare nella melma del grottesco senza fare un plissè. I nostri politici sono dei buffoni? In larga parte sì, naturalmente, anche se non tutti. Ma non esistono buffoni senza un pubblico disposto a farsi menare per il naso. Non esiste un circo senza un pubblico pagante e consenziente. Questo è il punto.

Qualche tempo fa, in uno dei suoi sempre più rari momenti di lucidità prima di trasformarsi definitivamente in una macchietta, Mario Monti, criticando con durezza adamantina l’abolizione integrale dell’Imu sulla prima casa, ricordava che se quella legge fosse stata approvata l’Italia sarebbe diventato – assieme al Niger, al Congo, allo Yemen e alla Mongolia - l’unico Paese al mondo a non far pagare una tassa sul patrimonio immobiliare. Parole sante. Parole anglosassoni. Parole da premier vero, addirittura. Peccato che anche lui, nel giro di un anno o poco più, sia stato triturato, lobotomizzato e spappolato da quel mostro di melassa e vaselina che è la nostra politicaglia consociativo-castaiola-apparatocratica e che, a un certo punto, si sia preso così sul serio da credersi veramente il salvatore della Patria, inanellando una sequenza di stupidaggini che lo hanno ridotto – è cronaca di questi giorni – da gelido tecnocrate verso il quale si srotolavano risme di tappeti rossi e colossali leccate di piedi da parte del sistema dei media a patetico nonnino da giardinetti che può essere preso a gatti morti in faccia dal primo diseredato che passa. E’ il pane duro della politica del suk, altro che Aspen e massoneria trilaterale…

Insomma, lo status della nostra classe dirigente è quello che è e non è il caso di indugiarci troppo. Quello che, invece, continua a sorprendere è la pressoché totale ignavia e sprovvedutezza di noi popolo bue. A prescindere che la casa è un patrimonio e come tutti i patrimoni va tassato – naturalmente in modo equo, logico, progressivo e senza vessare ceti meno abbienti e attività produttive e, quindi, non nel modo demenziale messo in pratica dall’ultimo governo –, come è possibile che si sia stati così babbei e tonti e creduloni da non capire che l’Imu cancellata dalla porta sarebbe riapparsa, aumentata e camuffata sotto un paio di nomi pagliacceschi, dalla finestra? E che Stato e Comuni, una volta persa quella fonte di finanziamento, non avrebbero potuto far altro che cercarne altre ancor più invasive? Ma quando qualche settimana fa la coppia clandestina Letta&Alfano si è presentata in conferenza stampa con lo stesso piglio di Churchill e Roosevelt dopo Yalta per annunciare alla nazione che quello era un bel giorno per l’Italia visto che una tassa odiosa scompariva per sempre perché non l’abbiamo sommersa tutti quanti insieme con una fragorosa, infinita e pantagruelica risata? Ma se uno crede a una frescaccia di queste dimensioni e, in assoluto, a un politico italiano che promette tagli di tasse e/o nuovi posti di lavoro, non è che forse si merita di essere governato proprio da gente del genere?

Cosa ci ha insegnato la storia? E l’esperienza? E le finte rivoluzioni di ottobre architettate nelle terrazze radical chic e le ancor più finte rivoluzioni liberali con videomessaggi incipriati con le enciclopedie di cartone alle spalle? Purtroppo, anche in questo frangente ci siamo dimostrati – non tanto loro, che già li conosciamo, ma anche noi o tanti fra noi o tanta parte di noi stessi - espressione di quello che l’Italia da secoli è in quanto a spirito civico, orgoglio patriottico e rigore etico-morale: un paese di poveracci. Senza nerbo. Senza coraggio. Senza visione e progetti. Senza sogni. Anche in questa occasione siamo stati così corti di pensiero da gongolare per la riduzione – provvisoria e truffaldina - di duecento o trecento euro all’anno di Imu, sai che roba, mentre invece la vera battaglia finale da condurre sarebbe solo una: un taglio profondissimo e definitivo della tassazione sui redditi e sulle imprese. Troppo semplice. Troppo rivoluzionario. Troppo giusto. Chi volete che lo faccia?

E infatti niente. Niente di niente. E così, quando alla fine della solita notte dorotea di trattative, trucchi contabili e partite di giro te ne salta fuori uno a pontificare sui consumi che verranno rilanciati grazie ai quattordici euro in più al mese in busta paga, non si ha neanche la forza di spegnere il telecomando. Spegnetelo voi, per favore.

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