Non è l’euro il vero
problema europeo

Stiamo vivendo una campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento europeo estremamente deludente. Si sbraita di euro e di uscita dall’euro, quasi questa fosse la panacea di ogni nostro problema economico, dimenticando (o non conoscendo?) i veri problemi economici e monetari dell’Unione europea.

Non credo tutti sappiano che fra le regole del governo economico e monetario dell’Ue vennero previste sia il divieto di salvataggio finanziario degli Stati membri, sia il divieto finanziamento diretto di uno Stato membro da parte della Banca Centrale Europea o l’acquisto dei titoli del debito pubblico di uno Stato membro. Ebbene, sia l’una sia l’altra regola appaiono chiaramente in contrasto con un’economia governata da una moneta unica composta da una pluralità di bilanci pubblici statali totalmente separati fra loro. Alla Bce dovrebbe essere attribuito il potere di aiutare finanziariamente, stampando denaro o acquistando titoli di debito pubblico, quegli Stati membri che versano in temporanee crisi di liquidità. Ciò che ha fatto la Federal Reserve statunitense e la Bank of England per riportare i rispettivi Paesi fuori dalla crisi.

Limitare i poteri delle Bce, per il mero timore che l’inflazione vada fuori controllo, non solo produce la devastazione delle economie più esposte alle turbolenze finanziarie, ma è totalmente in contraddizione con i principi di governo della moneta unica. Dunque, il problema non è l’euro, ma le regole che governano l’euro. Eppure, di ciò, non si parla affatto.

Vi è un secondo problema di cui discutere, quello del finanziamento dell’Ue. Una delle cause per cui l’Unione europea è percepita così lontana è che il cittadino europeo non contribuisce direttamente alla spesa pubblica dell’Unione e, per la medesima ragione, se ne disinteressa. Da anni si discute della riforma del sistema delle risorse proprie dell’Unione, senza mai arrivare ad alcuna decisione concreta, sostanzialmente per l’opposizione del Regno Unito. Questa crisi può essere il momento di svolta e imprimere un’accelerazione all’introduzione di un vero e proprio tributo europeo. L’occasione, dopo molte parole, potrebbe essere l’imposta europea sulle transazioni finanziarie, che ha recentemente superato il controllo giurisdizionale anche della Corte di giustizia.

L’introduzione di un tributo diretto a finanziare il bilancio europeo avrebbe, probabilmente, anche l’effetto di contribuire all’incremento delle disponibilità finanziarie a livello sovranazionale da utilizzare, previo un allargamento delle competenze europee, per gli aiuti da destinare agli Stati membri in difficoltà. Anche di questo, neppure una parola in campagna elettorale.

Naturalmente, tutto questo ha un prezzo, che si chiama cessione di sovranità. Credo sia abbastanza chiaro che l’intervento finanziario dell’Unione a favore degli Stati membri in difficoltà richiede, quale contropartita, il riporto del governo economico dello Stato a livello europeo, almeno fino al superamento dello stato di crisi. Ma ciò, almeno, avverrebbe in condizioni di piena trasparenza.

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