Salvini? A questa
destra serve altro

Giuliano Ferrara - che è un genio - ha sintetizzato così l’immaginifica strategia elaborata da Berlusconi su lui regista e Salvini bomber del centrodestra: “Certo, Salvini può giocare all’attacco. Di manifesti”. Fulminante. Strepitoso. Fine della partita nei secoli dei secoli.

Con il feroce snobismo figlio di una cultura di formazione capillarmente togliattiana – ed è per questo che Ferrara è il più colto di quelli di destra: perché è di sinistra – il diabolico giornalista ha riassunto in un aforisma da Oscar l’eterna contraddizione nella quale continua ad annaspare la destra italiana, condannandosi a un ruolo di subalternità antropologica da cui nessun capo carismatico o demagogo da mercato rionale riuscirà mai a strapparla. Ora, è vero che Ferrara è un minoritario esclusivista per natura, che gode nel rappresentare solo e soltanto quella élite “leninista” che, a suo avviso, ha il compito di trascinare il parco buoi verso i giusti sentieri della storia, al punto da guadagnarsi gli strali di un altro fuoriclasse del giornalismo come Marco Travaglio: “Ferrara se si candida non lo vota nessuno, se va in televisione non lo guarda nessuno, se dirige un giornale non lo legge nessuno, se fa il consigliori non lo ascolta nessuno”. Ma se questo è in parte vero, il punto della sua analisi rimane validissimo e urticante.

Ed è questo. A destra, per quanto starnazzino le oche giulive del giornaloni di regime sempre pronti ad annusare le pieghe del vento, non c’è nessuno. Ma proprio nessuno. L’altro giorno, a vedere Berlusconi alla presentazione del nuovo libro di Vespa, il pubblico sembrava uscito da un film con Ugo Tognazzi: contrammiragli in pensione, reduci della battaglia di Custoza, socie onorarie dell’associazione vedove cattoliche, fuoriusciti del Ccd, piazzisti di dentiere bulgare con lo sconto comitiva, gagà in disarmo, presidenti ad honorem del Milan Club di Ambivere con Mapello, Donna Letizia, figuranti di Cinecittà, qualche ubriaco raccattato in fiaschetteria e svariate sagome di cartone soffiate a un set di Sergio Leone. Una roba da piangere, ma davvero, pensando soprattutto a quali folle oceaniche scatenava il personaggio solo qualche tempo fa e ora invece disordinatamente in fuga inciampando tra consulenze, promesse di tagli delle tasse, condoni tombali e false fatturazioni. Perché, come ricorda ancora il brutale Ferrara, il gruppo dirigente del centrodestra che si è attovagliato con il Grande Capo negli ultimi vent’anni, ricevendone in cambio una coscia di pollo, un torsolo di mela o anche un guscio di noci, in caso di caduta definitiva del Cavaliere è destinato a sparire dalla faccia della terra nel giro di mezzo nanosecondo. Altro che la Leopolda della destra. E non pensiate che il cosiddetto voto moderato – che in questi anni di moderato ha avuto ben poco – possa essere ricatalizzato e riassemblato dalla Lega di Salvini, che tutta l’informazione à la page ha trattato come un pirla fino a un giorno fa e invece adesso leggi in giro certi profili pensosi che ti viene da pensare che, insomma, a uno statista come Salvini pure un Adenauer o un De Gaulle gli fanno un baffo. Chissà perché...

L’insulto dell’attacchino sarà anche diffamatorio, ma è affilato e cartesiano. Ferrara vede nel nuovo leader e nel suo progetto non più secessionista ma antieuropeista e filorusso e anticasta e bla bla bla il perpetuarsi del clamoroso vuoto culturale su cui ha sempre galleggiato il populismo italiano. Alla fine, lì dentro non c’è nulla che sia realisticamente giocabile nel quadro politico, per quanto sia invece efficacissimo nel rappresentare il malessere montante in fasce sempre più larghe della popolazione e nel raccattare i voti dei disperati del Pdl e degli sbandati dei Cinque Stelle, la cui parabola, d’altra parte, è molto simile a quella della Lega. Perché puoi salire su su anche fino al venti per cento, ma poi che te ne fai? Torna sempre fuori l’eterno fattore K di roncheiana memoria che ti inchioda al ruolo di demagogica rappresentanza destinata a non governare mai. Più tu cresci, più tutti gli altri – la gente normale, i mediamente colti, i cosiddetti middlebrow - vanno dall’altra parte. In braccio al cacciapalle di Firenze. Bel risultato, complimenti.

Ma il danno più devastante causato alla nazione dal baratro culturale della destra – parola impronunciabile in Italia per ragioni storiche – non è neppure la condanna a star inguattati dentro una palude centrista che non fa, non decide e invece spende e spande i denari pubblici, chiunque sia al governo. No, il vero disastro è aver regalato il monopolio della formazione culturale ai mostri del reducismo sessantottesco, che decennio dopo decennio si sono gemmati in un bestiario a cavallo tra Fellini, Nanni Moretti e Hieronymus Bosch: il sindacalista forforoso, il moralista con il ditino alzato, il Masaniello della macchinetta del caffè che poi però te lo compri per un piatto di lenticchie, il blogger fallito, il benaltrista fuoricorso in scienze politiche, quello che lo Stato dov’è e lo Stato cosa fa per noi e lo Stato ci ha abbandonato, quello che i carichi di lavoro sono intollerabilmente intollerabili, quello che è giusto lo sciopero dei treni, soprattutto di venerdì e meglio ancora se sotto le feste, quella che noi donne di sinistra sì che ci siamo fatte da sole mentre invece quelle là, cara lei, quello che gli imprenditori sono tutti dei ladri, degli evasori fiscali, dei padroni delle ferriere e invece noi impiegati del Catasto di Donnafugata o della sezione Inpdap di Aci Catena degli umiliati e offesi nei nostri diritti elementari e avanti così tra santorate, Inti Illimani e buffetti sulle guance a quelli che occupano le case perché, poverini, hanno tanto bisogno, tutti quanti allegramente in marcia verso il baratro…

Questo è quanto. E ci vorrà ben altro di un Salvini qualunque per aprire le finestre, togliere il tappo e liberarsi di tutta questa fuffa. Che qualcuno cacci un urlo, per favore.

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@DiegoMinonzio

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