Se Como e ticino
sbagliano insieme

Ha vinto il no e non è stata una sorpresa. La campagna della Lega ha fatto centro e quella del Canton Ticino sarà una partecipazione ad Expo ridotta ai minimi termini. Pochi soldi, spazi all’osso, visibilità quasi a zero nel padiglione della Confederazione.

Difficile sostenere che alla lunga questa scelta si rivelerà azzeccata, appare chiaro a tutti quanto il Ticino, a mezz’ora di autostrada dall’esposizione, avrebbe avuto in realtà tutto l’interesse a una presenza in grande stile. Non è andata così ma, si sa, anche nel tempio della democrazia diretta talvolta prevalgono scelte di pancia, assunte in virtù di componenti emotive anziché razionali. Ha vinto il pregiudizio anti italiano, la diffidenza a priori per tutto ciò che avviene al di qua del confine, l’idea un po’ miope che è meglio alzare il muro del proprio giardinetto anziché promuoverlo nel resto del mondo per poterlo farlo crescere.

Certo, l’Italia e sul caso Expo c’è da stendere un pietoso velo, ha fatto e si ostina a fare di tutto per fornire all’estero e ai ticinesi in particolare, argomenti validi per farsi detestare. Ma questo è un altro discorso. Colpisce, invece, quanto la scelta referendaria abbia più di una vaga analogia con quanto successo a Como. La prova, una volta di più provata, che la linea di confine è al più una barriera amministrativa, quando si varca il confine si ha l’obbligo di mostrare la carta d’identità ma comaschi e ticinesi continuano a sentirsi a casa. Stessa lingua, stessa cultura, stessa visione del mondo. Va così da secoli, la crescita dei lavoratori frontalieri negli ultimi anni ha solo reso più evidente una fratellanza che è nelle cose. Simili nei pregi e anche nei difetti, nelle debolezze. E, nel caso di Expo, anche nelle scelte sbagliate. Già perché se il Canton Ticino ha detto di no al credito per una partecipazione di alto livello anche Como ha scelto di andare dove l’acqua è bassa. Chiaro, di là hanno risorse finanziarie notevolmente superiori alle nostre ma è difficile arrendersi all’idea che non si potesse fare di più. Davvero vogliamo pensare che se ci fosse stata una strategia davvero condivisa innanzitutto tra gli enti pubblici ulteriori risorse non sarebbero state trovate? In fondo Como, quanto Lugano e Bellinzona, è una delle città lombarde più vicine all’esposizione, di sicuro quella che, in virtù di tanti fattori, conta di avere il ritorno maggiore in termini di presenze di visitatori.

Il compromesso trovato, che certo è meglio di niente, è sintomatico di quanto, qui da noi come in Ticino, ancora siano diffuse ai vari livelli un atteggiamento di chiusura e resistenza alle nuove opportunità e la convinzione che i soldi è meglio spenderli in casa propria perché ad osare si possono solo correre rischi. Prudenza? Sì ma in questo caso ottusa. Fratelli anche in questo, nonostante il confine. Oggi è in Ticino, per tante ragioni, va forte la Lega. Ma non sempre è stato così. Ci sono state stagioni diversi, solo qualche anno fa, svizzeri e comaschi progettavano insieme la creazione di una regione transfrontaliera. Al di là del giudizio sull’esito - l’attuale Regio insubrica - era evidente a entrambi, allora, quanto sarebbe stato utile collaborare sul terreno innanzi tutto economico. Quelle valutazioni oggi fanno sorridere ma continuano a insegnarci qualcosa.

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