Ladruncoli in copertina mentre i furbetti ringraziano

La paura ha creato gli dei”, scrisse il filosofo epicureo Lucrezio. Son passati oltre duemila anni, ma nulla è cambiato. L’ex magistrato Piercamillo Davigo, relatore principale venerdì scorso a un convegno organizzato dall’Università dell’Insubria a Como, ha sottolineato un fatto che potrebbe essere agevolmente noto a tutti quanti, ma che invece è ignorato dalla quasi totalità delle persone. E cioè che negli ultimi vent’anni i reati per così dire “comuni” in Italia – e in particolare nelle nostre città – sono letteralmente crollati. Siamo uno dei Paesi con il più basso numero di omicidi al mondo. Le rapine, quelle pistola o fucile in mano, sono quasi sparite. Gli scippi in città si sono fortunatamente estinti. Uscire di casa la sera non è impresa per temerari. Eppure, ha spiegato l’ex giudice della Cassazione, siamo inseguiti quasi mensilmente da una smania tutta nostrana di decreti legge d’urgenza per inasprire le pene per quei fatti che, per quanto piccoli, ci incutono più timore, rafforzare la legittima difesa, cancellare ogni possibilità di recupero e redenzione per chi sbaglia e – giustamente – viene punito. E così, si vive in una quotidiana emergenza sicurezza. E in una costante paura.

Paura che, oltre a creare “dei”, acceca. E, per dirla con Jose Saramago, “ci manterrà ciechi”. Facendoci credere che sia il dito ciò che conta, e non la luna che questo indica.

Mentre le cronache sono piene di arresti per furtarelli nei supermercati, piccoli borseggi, qualche scazzottata a margine della movida (sia chiaro, non che qui si voglia istigare o giustificare la delinquenza, tutt’altro), passa quasi sotto traccia la notizia che nel 2021 i tributi evasi dagli italiani sono stati superiori agli 83 miliardi di euro. Grazie al nero, alle false fatture, alle bancarotte di società che in realtà altro non sono che scatole vuote, alle frodi fiscali, alle finte transazioni verso l’estero in cambio di servizi inesistenti, all’elusione dei contributi previdenziali, all’aggiramento delle norme sul lavoro e sui salari, e in generale alla criminalità economica (che piace tanto anche alle mafie, e ci sarà un perché) gli ospedali perdono medici e infermieri, le infrastrutture restano perennemente ferme, le tasse (per chi le paga) continuano a essere alte, la benzina per spostarci un eterno salasso.

Eppure, anche a leggere i commenti a margine delle notizie che si pubblicano quotidianamente, i soli problemi del paese sono i migranti, i giovani che litigano nei bar, gli “sfaticati” che chiedono l’elemosina.

La colpa, ammettiamolo, è anche nostra, intesa come stampa. Perché è molto più semplice scrivere di un poveraccio sorpreso a rubare al supermercato che di un professionista a cui si contesta una frode fiscale milionaria: il poveraccio non se la prenderà mai per quell’articolo. Il professionista ha soldi sufficienti per schierare eserciti di avvocati. Ma in questo loop, noi cronisti siamo finiti anche per colpa di una legislazione sempre più garantista verso i forti e menefreghista nei confronti dei deboli. Non passa giorno senza che le mail dei giornalisti si riempiano di comunicati stampa su arresti per ogni tipo di reato minore, mentre le grandi frodi, i grandi scandali, i grandi fallimenti vengono taciuti. O, se raccontati, citati vagamente. Senza riferimenti. Nel più assoluto e rigoroso anonimato. Vuoi per evitare le schiere di avvocati di cui sopra. Vuoi perché le norme sulla diffusione dell’informazione sono sempre più restrittive. Ultima in ordine di tempo la famosa legge Cartabia, che assegna la scelta di cosa sia o non sia di interesse pubblico al capo della Procura. Un po’ come se, domani, a Bruno Vespa affidassero il compito di Ct della Nazionale di rugby.

Il risultato è che, in questo allarmante silenzio, resta solo il suono delle minuzie. Che, grazie all’eco del vuoto lasciato dalle vere notizie, diventa roboante al punto da terrorizzare. E gli dei – con i loro 83 miliardi rubati a una nazione intera – si fregano le mani.

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