Le donne uccise non sono tutte uguali

Tutti i femminicidi sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Fa davvero impressione l’assordante silenzio che è stato riservato alla lettera che il ministro per la famiglia, Eugenia Roccella, ha scritto qualche giorno fa al Corriere della Sera a proposito del pogrom del 7 ottobre in Israele.

Di solito, nella repubblica delle banane che così bene ci rappresenta, quando qualcuno lancia un tema di spessore viene subito presa la palla al balzo per fare una gran caciara, una gran cagnara, un gran starnazzare da lavandaie - quello di sinistra che insulta quello di destra, quello di destra che svillaneggia quello di sinistra: cose così… - che rappresenta il sale dei nostri mirabolanti talk show e che riduce il tema di spessore di cui sopra a poltiglia, a numero circense, ad avanspettacolo. Ma c’è pure di peggio. E cioè quando si mette in atto la congiura del silenzio. Nessuno ne parla. Nessuno ne scrive. Nessuno ci riflette. Non interessa a nessuno. Perché il mainstream tartufesco non lo prevede nel suo palinsesto. Quindi, di conseguenza, il tema non esiste.

Il ministro ha ricordato un appello di un’associazione femminista francese, sottoscritto tra le altre anche dal sindaco di Parigi Anne Hidalgo, per chiedere che l’assassinio di centinaia di donne israeliane da parte di Hamas sia riconosciuto ufficialmente come femminicidio di massa. Secondo quelle attiviste, le violenze commesse il 7 ottobre corrispondono in tutto e per tutto al significato più pieno del termine “femminicio”: “Le donne sono state esibite nude. Sono state violentate fino alla frattura del bacino. I loro organi genitali sono stati mutilati. Hanno urinato sulle loro spoglie. Alcune sono state decapitate, altre smembrate, altre bruciate”.

E tutto questo è provato dai video che gli stessi terroristi palestinesi hanno girato e divulgato come morboso ed efficacissimo marketing planetario, un vero e proprio decalogo per le nuove generazioni. Video che circolano tranquillamente in rete, che abbiamo visto, che non pubblicheremo mai, naturalmente, ma che sono le prove inconfutabili di quello che è successo. Ripetiamo per i duri di comprendonio: centinaia di donne sono state sequestrate, violentate, uccise, sgozzate, squartate, decapitate e bruciate. Centinaia e centinaia. In un solo giorno. Tutte civili. Tutte indifese. Tutte inermi. E’ un femminicidio di massa, del quale non ci sono precedenti nella storia recente e che - questo il passaggio chiave dell’appello di “Paroles de femmes” - non può e non deve essere legato al conflitto israelo-palestinese. Che produce altri orrori, altre morti e altre mostruosità. Ma non questa. Questa è specifica, questa è unica, questa è abissale. Questa è “made in Hamas”.

Ma il tema vero, sottolinea correttamente Roccella, non è neppure questo, visto che la storia del mondo strabocca di stragi, stermini e massacri. Il tema vero è che nella recente manifestazione romana nata sull’onda dell’emozione per l’uccisione della povera Giulia Cecchettin, non si sia alzata una sola voce per condannare quello che è successo in Israele. Mentre si protestava contro i femminicidi e il partriarcato italico che, a detta delle femministe nostrane, è la vera genesi dell’atto di Filippo Turetta - perché ogni uomo, in quanto uomo, è un potenziale fauno stupratore e assassino: questa la tesi – nessuno ha fatto un plissè sul patriarcato grazioso e omeopatico di Hamas, che le donne, anche quelle palestinesi, non le tocca nemmeno con un fiore. E invece nel corteo si sono sentiti tantissimi slogan contro Israele e a favore di Hamas, e sarebbe interessante capire cosa diamine c’entrassero con Giulia, tanto da far sentire in grandissimo imbarazzo femministe storiche come la filosofa Adriana Cavarero, la politologa Francesca Izzo, oltre che la giornalista Daniela Hamaui, ebrea e femminista.

Bene. Cos’hanno che non va le donne israeliane? Anzi, cos’hanno che non va le donne ebree? Non sono abbastanza alla moda? Non sono abbastanza à la page per i salotti di quelli che benpensano? Sono troppo occidentali nella terra delle dittature, delle satrapie, del patriarcato e delle lapidazioni? Hanno il naso adunco? Sono le discendenti di quelli che hanno crocefisso Nostro Signore? Sono le eredi di Shylock? Sono tutte banchiere, affariste, usuraie, venditrici di diamanti, sioniste e tutto il resto dei luoghi comuni che inzaccherano la spazzatura di destra e sinistra della nostra ignorantissima e marcissima società civile? Non sono donne? Sono mezze donne? Sono pseudo donne? Già sugli stupri di massa in Ucraina non ci siamo indignati più del giusto, ma con le ebree abbiamo toccato veramente il fondo.

Perché l’ideologia ha monopolizzato anche la tragedia dei femminicidi? Perché anche questa cosa è diventata ostaggio della guerra per bande che governa questo sciagurato paese senza arte né parte né dignità? Perché le nostre femministe considerano certe donne di serie A e certe altre di serie B? Perché se è così, e purtroppo è così, allora la credibilità della sollevazione generale dopo la morte di Giulia diventa una buffonata, una pagliacciata, una carnevalata nella quale si dicono cose a caso, si ulula alla luna, si fanno dei gran discorsi tromboni rigonfi di retorica e di banalità sull’uomo cattivo e poi, quando l’uomo cattivo arriva davvero, si cincischia che, in fondo, quelle centinaia di donne un po’ se la sono cercata. Una roba che fa schifo. Una roba che fa senso. Una roba che fa vomitare.

Eppure non ne parla nessuno. Non frega niente a nessuno. Non interessa a nessuno. Interessa molto, invece, sapere quante coltellate ha ricevuto Giulia e quanto sangue ha versato e quanti minuti ci ha messo a morire e cosa fanno e cosa pensano e come vivono i genitori e tutto il resto di uno show macabro e grottesco grazie al quale i più autorevoli (?) giornali nazionali si stanno coprendo di vergogna e di ridicolo. Riposino in pace lei e le centinaia di donne ebree massacrate. Noi abbiamo ben altro a cui pensare. Incombe l’apericena del sabato sera...

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