Parlare di Patria
per fare caciara

Il problema è che alla fine uno rischia di scrivere sempre lo stesso pezzo. D’altronde, questi - di destra, di centro e di sinistra - vanno avanti a dire le solite baggianate e a dimenticarsi la regola numero uno non tanto della comunicazione, quanto della serietà e della civiltà: le parole sono importanti.

E infatti le parole vengono prese a caso dal vocabolario - non troppo ricco, a dire il vero - della politica e buttate nel ventilatore del giornalismo collettivo nazionale per vedere l’effetto che fa, per mettere all’angolo il nemico, per posizionarsi tatticamente, per fare semplicemente un po’ di caciara fino a quando, passati due o tre giorni, quel termine non serve più a niente e si è pronti per passare a quello successivo. L’ultimo esempio è quello di Giorgia Meloni, secondo la quale nessuno potrà permettersi di nominare il prossimo presidente della Repubblica senza il coinvolgimento di Fratelli d’Italia e del centrodestra - e qui ha del tutto ragione - e che quello dovrà essere un “patriota”.

Ora, innanzitutto all’italiano medio di tutte le gabole, le tattiche e le camarille intrecciate dai partiti per arrivare all’elezione del successore di Mattarella interessa meno di zero, anche perché sono ormai tre mesi che gliele stiamo piallando giorno dopo giorno con i nostri sapidi retroscena. E dire che ci sarebbero temi ben più urgenti e drammatici da affrontare, ma è noto che ai giornali interessa solo la politica perché vivono di politica, sono determinati dalla politica, le carriere giornalistiche vengono definite dalla politica ed è per questo che il fatto che della politica non importi a nessuno non importa ai giornalisti. Ma il punto non è tanto questo, quanto che l’espressione usata dalla Meloni non ha senso, se viene utilizzata con un obiettivo solamente tattico: dopo anni di presidenti anti italiani, anti nazione, anti popolo, anti gente perché servi del sistema, dell’Europa, dei poteri forti, delle multinazionali e bla bla bla ora ne serve uno che difenda finalmente la dignità del Belpaese, i suoi confini, il suo orgoglio e bla bla bla. E infatti sempre la Meloni ha definito Berlusconi un “patriota” e Draghi invece “non so”, perché quest’ultimo è il più luminoso esponente dei poteri forti di cui sopra.

Ma non è finita qui. Da sinistra non hanno perso l’occasione per ricordare che un vero patriota era, ad esempio, Pertini (ma vogliamo dimenticarci di Berlinguer?), perché il vero patriottismo sta a sinistra mentre quello della destra tanfa sempre e comunque di fascismo. E quindi siamo punto e a capo con la solita guerra civile. E con un paragone poco convincente.

Innanzitutto perché Pertini - come da urticante analisi di Montanelli – è il presidente della Repubblica più sopravvalutato della storia italiana e poi perché la sinistra con il termine “patria” e la sua diacronia ci ha sempre fatto a cazzotti. Alzi la mano tra tutti quelli che erano ragazzini negli anni Settanta se non è vero che se veniva pronunciata la parola “patria” ci si beccava un secondo dopo del fascista e due secondi dopo magari pure un paio di ceffoni dai compagni dei collettivi rivoluzionari permanenti (quelli che organizzavano la rivoluzione proletaria nella villa in Sardegna del papà…).

E allora, chi lo decide chi è patriota e chi no? La Meloni? Letta? Salvini? Di Maio? E in base a quali criteri? E poi non è che siamo tornati, anzi, non ci siamo mai allontanati, dalla strada ridicola e grottesca presa un decennio fa, anzi, da Manipulite in poi, dai 5Stelle e dal resto del moralismo di sinistra sui politici onesti, casti e puri che potevano anche essere degli analfabeti di andata e ritorno, dei bibitari e degli scappati di casa, ma basta che fossero onesti, signora mia? E anche qui non abbiamo visto che è andata finire come preconizzato da Nenni secoli fa, e cioè che se vuoi fare il puro poi arriva uno più puro che ti epura?

Patriottismo, onestà, imparzialità eccetera sono tutti prerequisiti, tutte caratteristiche prepolitiche richieste a chi voglia esercitare responsabilità ai massimi livelli, devono essere date per scontate. È da lì in poi che si deve valutare il valore di quel politico e, in particolare, del presidente della Repubblica e cioè come interpreterà la Costituzione, come userà i propri poteri per il bene dello Stato e dei suoi abitanti, quanto sarà profonda la sua visione e lucida la sua gestione dei rapporti con il governo italiano e quelli stranieri.

Che c’entra il patriottismo? Che roba è? Non si accorgono della superficialità, dell’infantilismo, della povertà culturale che permea la nostra classe dirigente, anche nei suoi esponenti più tosti e coerenti – beh, anche “coerente” è un bel prerequisito – come la leader di Fratelli d’Italia? Davvero crede di essere l’unica interprete dei valori nazionali e che tutti gli altri siano servi dei potentati mondiali? E, allo stesso modo, davvero la sinistra ritiene che tutto quello che si muove a destra sia potenzialmente eversivo e autoritario? Non gli scappa da ridere quando definiscono Fratelli d’Italia fuori dall’arco costituzionale? Siamo negli anni Settanta? C’è ancora Almirante?

Dovrebbe stare molto attenta la Meloni a usare le parole. Le parole sono pietre. Non dovrebbe pronunciare con leggerezza termini come “patriota” o “conservatore”, che hanno una storia secolare dietro di sé, e dovrebbe ricordarsi, magari rammentandolo anche a Salvini, che è molto più disinibito di lei nell’utilizzare le parole a casaccio, che il vero punto di riferimento di ogni conservatore europeo, la vera fonte a cui ogni destra moderna e colta dovrebbe abbeverarsi è Margaret Thatcher. E che lei disapproverebbe il 90% delle parole d’ordine della destra italiana e che al solo sentire il sostantivo “gente” o “popolo” (invece di “individuo”) di cui la nostra povera destra si infarcisce la bocca tutti i giorni, metterebbe mano alla pistola.

Ma il problema è che la Thatcher è la Thatcher, la Meloni (per ora) solo la Meloni.

@DiegoMinonzio

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