L’inverno di Antonio Vivaldi
Nuovo appuntamento del Festival di Bellagio e del lago di Como

Il programma di oggi, proposto dall’Orchestra di Bellagio e del lago di Como offre un viaggio intenso tra virtuosismo strumentale, teatro barocco e affetti estremi, intrecciando le voci contrastanti di Antonio Vivaldi e Henry Purcell. L’ultimo appuntamento del ciclo Le quattro stagioni con il concerto vivaldiano insieme a musiche ispirate all’inverno vede, infatti, l’inserimento in programma, tra brani vocali e strumentali, anche della Cold song (What power art thou) di Purcell, da King Arthur, magistralmente utilizzata da Maurice Pialat nel film À nos mmours del 1983.
Il genio veneziano Antonio Vivaldi ha rivoluzionato il concerto barocco trasformandolo in uno spazio drammatico, ricco di colori e tensioni. I suoi concerti per violino e archi, spesso pensati per le giovani musiciste dell’Ospedale della Pietà, combinano brillantezza tecnica e teatralità, creando scenari emotivi senza parole. L’inverno da Le quattro stagioni, op. 8 n. 4, RV 297 è tra i concerti più celebri della storia della musica, esempio straordinario di “musica a programma” nel pieno del Barocco. Nel quarto e ultimo concerto del ciclo, Vivaldi dipinge con minuzia e immaginazione il gelo e le insidie della stagione fredda, servendosi sia della musica che della poesia: ogni movimento, infatti, è accompagnato da un sonetto (forse dello stesso Vivaldi), che descrive con precisione gli effetti dell’inverno sulla natura e sull’uomo. Pur essendo un capolavoro descrittivo, L’inverno non si limita al realismo. L’elemento simbolico è altrettanto forte: il gelo non è solo meteorologico, ma può essere anche interiore. Così come in altre opere vocali vivaldiane (come Gelido in ogni vena), il freddo diventa metafora di dolore, paura, solitudine. Questa ambivalenza – tra la natura esterna e lo stato dell’anima – è una delle chiavi di lettura più affascinanti del Barocco, e L’Inverno ne è un perfetto esempio: un paesaggio musicale che riflette sia il mondo che l’uomo, con una vitalità teatrale che non smette mai di sorprendere.
Sempre di Antonio Vivaldi, Farnace, RV 711 / Atto II – Gelido in ogni vena è tratta, poi, da una delle opere più toccanti di Vivaldi. Questa celebre aria esprime il gelo che paralizza il corpo e l’anima davanti alla perdita e al dolore. Il personaggio di Farnace, in un momento di disperazione estrema, si sente “gelido in ogni vena” – e Vivaldi traduce questa immagine in musica con linee vocali tese, armonie sospese e un accompagnamento carico di tensione emotiva. È un esempio perfetto di come il teatro barocco usasse la musica per amplificare il dramma umano. Così come in RV 675 – Piango, gemo, sospiro e peno, dà vita a un intenso lamento, il cui testo evoca un dolore multiplo, che si declina in ogni forma possibile: pianto, gemito, sospiro e pena. Vivaldi costruisce una linea vocale tormentata, con salti intervallari improvvisi e cromatismi che esprimono l’inquietudine dell’anima. L’aria, probabilmente destinata a un contralto, ci mostra il lato più intimo e umano del compositore veneziano. E ancora, in RV 799 – Tremori al braccio, aria rarissima, probabilmente concepita per un castrato o un controtenore, colpisce invece per la sua energia drammatica. Il titolo evoca una reazione fisica – i tremori del braccio – forse per paura o passione, e la musica ne amplifica il senso con un accompagnamento impetuoso e slanci vocali quasi febbrili. È un Vivaldi meno conosciuto, ma sorprendentemente moderno nella sua capacità di teatralizzare la fisiologia delle emozioni.
Ad affiancare Vivaldi, un sorprendente Henry Purcell in The cold song, da King Arthur, Z. 628. Si tratta del brano più celebre di Purcell, è una straordinaria rappresentazione del gelo, sia fisico che spirituale. Il personaggio – lo “spirito del freddo” – si risveglia controvoglia, invocando la potenza che lo ha risvegliato a lasciarlo tornare nel suo sonno invernale. Il canto è quasi spezzato, con note ripetute che imitano il tremore e una tensione armonica che resta sospesa tra vita e morte. È un momento di pura magia teatrale barocca, dove la musica diventa corpo e gelo insieme.
Un filo rosso, dunque, per questa produzione in scena per la chiusura del Festival: il freddo, il corpo, l'affetto. In tutti questi brani, il “freddo” non è solo una condizione atmosferica, ma una metafora potente del dolore, della perdita, della morte o dell’amore non corrisposto. Dal canto tremante di Purcell al gelo nelle vene di Farnace, dalla pena senza tregua ai tremori fisici della passione, ogni brano ci parla di un’emozione che supera la parola e si fa carne nella musica.
A portare in scena tutte queste emozioni, artisti di rilievo: Tamas Major, violinista, e Maria Chiara Forte (nella foto), soprano, insieme all’Orchestra di Bellagio e del lago di Como.