Il ciclismo fatto con i...piedi

Come Linus. Sì, mi sono sentito proprio come il famoso dee jay maratoneta – icona di tutti noi ex-giovani – che lo scorso maggio (qualcuno ne ricorderà le cronache) aveva deciso di salire in bicicletta per affrontare la Nove Colli di Cesenatico, la celebre Gran Fondo di ciclismo. Con tutto il rispetto ed il paragone del caso, l’altra mattina – complice la neve che non arrivava e un freddo becco che avrebbe scoraggiato persino l’Amstrong pieno di Epo fino alle orecchie – ho infilato le scarpette da ginnastica, lasciato la mia amata Bianchi appesa a testa in giù nel garage e ho cominciato a correre. Così, per vedere l’effetto che fa, avrebbe detto Jannacci.

Il fatto che Linus in bicicletta avesse impiegato un’ora in più di uno scalcinato ciclista della domenica come il sottoscritto, mi ha consentito di affrontare le strade da pedone con tanta umiltà. E così, abbandonati sul nascere i sogni di stupire tutti a cominciare da me stesso, mi sono limitato a dieci chilometri ad andatura turistica, senza forzare.

Mi sono divertito, con il senno del poi. Anche se la bicicletta è tutt’altra cosa, come direbbe – a parti invertite - qualsiasi dei patiti del running. La differenza più rilevante, alla quale pensi anche se non vorresti, è quella climatica. Non si patisce il freddo anche se il termometro, come è capitato a me, era in picchiata. Perché la velocità, con tutto l’impegno del mondo, è tutt’altra e non si può paragonare a quelle sferzate di gelo che ti prendono quando affronti una qualsiasi discesina, anche semplicemente   un Colle Brianza con i freni tirati. Un punto a favore, d’accordo.

 La velocità, per l’ appunto. Correre – e non sprintare – dà una piacevole sensazione di lentezza, almeno a noi che arriviamo dalla bicicletta. Consente un’occhiata più approfondita alla casetta color pastello che costeggi per una trentina di passi, ti mostra dettagli del paesaggio che ti erano sfuggiti, ti consente di ascoltare la musica con l’auricolare senza troppo preoccuparsi – come accade sulle due ruote – di camionisti, centauri e automobilisti che si attaccano al clacson come se fosse un simbolo del potere, da pigiare a sproposito solo per godere del rumore che produce.

Evito paragoni, per così dire, tecnici. Non ci vuole un medico sportivo per capire che i muscoli chiamati al lavoro sono tutt’altri rispetto a quelli del ciclismo e che pure gli effetti, a doccia calda, sono diversi.

La differenza più grande, tuttavia, è quella sensazione che a me piace chiamare di libertà. Pedalare consente, per ragioni fin troppo ovvie, di percorrere distanze assai più rilevanti ed a una velocità maggiore. Anche quando ci si arrampica sui tornanti del Ghisallo o dei Piani Resinelli. E l’approccio con la natura, di conseguenza, è di ben altra dimensione. Confesso – l’ho già fatto e lo ribadisco, non senza un pizzico di vergogna – di aver conosciuto molti dei segreti della terra dove sono nato più in questi dieci anni di bicicletta che non nei trenta precedenti, tutto preso alla ricerca delle strade meno trafficate e possibilmente dritte e veloci. Ecco, tutto questo – al mio livello, sia chiaro – la corsa a piedi non lo consente. E se sei un ciclista della domenica, che non ha l’ossessione del cardio che pulsa o del cronometro che ti invita a spingere perché altrimenti arrivi quattro secondi più tardi del previsto in cima alla salita, beh, resta un privilegio impagabile. La struggente bellezza della Colma di Sormano, il panorama mozzafiato del Cornizzolo o della Valcava, il tunnel verde che da Nesso porta al Pian del Tivano sono cose da assaporare su due ruote.

Ecco perché, alla fine della camminata, mi sono ritrovato – novello Forrest Gump – a pensare che sì, ero un po’ stanchino. Che mi ero divertito, pure. Ma che con la mia Bianchi è un altro godimento. E ieri, incurante del cielo che vomitava fiumi di acqua, non ho avuto dubbi a riprendere la mia due ruote che svernava in garage. Ciclyng in the rain, suona bene già così.

 

 

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