La mamma del ciclista

La generalizzazione è uno dei tanti vizi diffusi alle nostre latitudini. E così, archiviato momentaneamente il capitolo “i politici sono tutti corrotti” e in attesa di dividersi sulle cinquecento possibili combinazioni della nazionale di calcio impegnata in terra brasiliana, ecco rispuntare un evergreen tipicamente estivo. Ovvero i ciclisti brutti, sporchi e cattivi che riempiono le strade e, quando si trovano un clacson impazzito alle loro spalle, hanno persino l’ardire di arrabbiarsi e di ricorrere al turpiloquio.

La solita triste, stucchevole e un po’ cialtronesca polemica che sublima la nostra tendenza a dividerci su tutto, insomma, fosse pure il Martini rosso e quello bianco. Non è neppure il caso di spenderci troppe parole. Per quanto ci potremmo sforzare – e qualche volta in passato su queste colonne l’abbiamo fatto – non riusciremmo mai a convincere gli uni e gli altri, che – per definizione – sono sempre dalla parte della ragione. Gli automobilisti a sostenere che, insomma, non è possibile trovarsi sempre tra le ruote quegli strani figuri che sudano come caproni, sputano per terra, non si fermano (quasi) mai ai semafori rossi, bevono a canna dalla borraccia e mettono body attillati su improbabili tartarughe addominali. Gli altri a ribattere che, perbacco, la strada l’hanno pagata pure loro e che, se sul ciglio della strada ci sono buche mai riparate, avranno pure diritto a stare in mezzo alla carreggiata. Senza contare che gli altri, chiusi nella loro scatola di lamiere, sembrano marziani aggrappati al cellulare, con i loro fisici strabordanti sedentarietà e le loro menti ottenebrate dalla musica a palla.

Si potrebbe andare avanti così per righe e righe, interi capitoli navigando nel mare dei luoghi comuni, delle frasi fatte, dell’essere l’uno “antropologicamente diverso e certo migliore dell’altro”. A nessuno viene in mente, naturalmente, che, forse, le strade sono troppo strette, le buche disseminate ovunque, la segnaletica fantasiosamente attorcigliata e il traffico sempre eccessivo. Ma, soprattutto, a nessuno viene in mente che un cretino è un cretino. Sia quando pigia sui pedali, sia quando stringe a sé il volante della propria utilitaria. E un cretino in bicicletta – a meno di volerlo pensare come un talebano della motorizzazione, sempre e solo in giro su due ruote – sarà un cretino anche quando metterà il lato B su una Ferrari. E viceversa. Perché la mamma dei cretini è sempre incinta e non sta scritto da nessuna parte che sia una ciclista.

Tutto qui, così maledettamente semplice da rendere inutile ogni discussione. E, forse, è proprio questo che ci frega. Se ci si toglie il piacere del reciproco insulto, che cosa ci resta a Mondiali finiti?

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