Il derby dei saldi lo vince la gente

E' derby su saldi e sconti. Chi vincerà? Fino a ieri si poteva azzardare un ricorso ai tempi supplementari, ma bisogna aspettare la fine delle vendite per il punteggio finale.
Ad ogni modo, i veri campioni saranno gli aquirenti che potrebbero fare ottimi affari, e di questi tempi ce ne è bisogno.
La coppa in ballo è quella delle vendite e degli acquisti dei regali, per chi ha saputo aspettare gli sconti, e le due squadre in campo sono il Ticino e Como.
Tra ticinesi e comaschi è storico l'attrito ed è sempre lotta a chi è il migliore.
In genere vincono gli svizzeri: migliore il cioccolato, più veloce la burocrazia, ghiotti i "moretti", più profumato ed economico il tabacco come la benzina.
Ma questa volta i comaschi cercano la rivincita e non si sono fatti cogliere di sorpresa, anzi, hanno preparato uno schema niente male: sconti, sconti, sconti anche fino al 50% con relativo bombardamento di sms ai clienti, lanciati a poche ore dalla fine del pranzo natalizio.
La grande difesa contro i ticinesi e le loro "azioni", cioè gli sconti che ogni anno partono in anticipo rispetto a quelli comaschi - quest'anno dal 5 gennaio, ma anticipabili come sconti un mese prima - sembra funzionare.
È un bel match, un ping pong stretto. Certo, molti comaschi hanno ingolfato la dogana, in coda verso i centri commerciali svizzeri, outlet in particolare e molti ticinesi, al contrario, sono scesi sul lago attratti dagli sconti di Como. Gli svizzeri dicono, «tanta gente, ma pochi affari anche con i saldi», i comaschi tirano il fiato «a Natale abbiamo venduto, ma poco, ora cerchiamo di rifarci con gli sconti». Un bene doppio: per chi vende e per chi acquista. Almeno quest'anno infatti i comaschi e i ticinesi si giocano le vendite e gli acquisti ad armi pari, forse a vantaggio dei clienti.
Che la crisi porti anche qualcosa di buono? La valutazione è sommaria, ma la si può azzardare, non fosse che per rispondere alla domanda che tutti si fanno da sempre dopo Natale, e a maggior ragione quest'anno: com'è che un paio di pantaloni che costa più di 100 euro a Natale, il 27 ne costa 50?
La crisi ridimensiona le pretese di tutti e offre qualche vantaggio. Più realistiche le aspettative dei commercianti, che si lamentano sempre delle scarse vendite, ma che dopo il pienone di ieri, almeno in alcuni negozi di Como, avranno meno motivi per farlo. Più realistici i desideri dei clienti, che se non hanno il cappotto sotto l'albero a Natale, accettano di mettercelo il 28 a metà prezzo comprandolo magari a Como e non in Svizzera. La concorrenza funziona sempre, specie quando è agguerrita e su prodotti confrontabili. C'è solo una cosa che la crisi sembra non restituire, il senso vero del dono. In tutto questo discorso sulla corsa tardiva al regalo, la difficoltà economica fatica a ridare il significato al regalo, ponte tra le relazioni umane e offerta gratuita. Non c'è crisi che tenga, quando Natale si avvicina si è condizionati dal dover comprare il "bel" regalo, che spesso corrisponde a costoso. Ma è solo per dire, perché questa riflessione fa a pugni con il bilancio, quindi W la concorrenza e W Piero Chiara che nel racconto "Era mio padre quel Gesù Bambino" (nel libro di suoi racconti curato da Federico Roncoroni) scriveva: «Nascosta dietro la capanna del presepio, trovavo sempre una scatola legata con un nastro, dove c'era il regalo per me: qualche tavoletta di cioccolata svizzera e un giocattolo, un'automobilina di latta che riproduceva in piccolo l'Isotta Fraschini o la Ceirano e che averla adesso sarebbe una rarità, benché allora costasse solo un paio di lire. Era un dono simbolico, ma che mi faceva spasimare. Il vero dono, quello più consistente, un paio di scarpe o un cappottino, l'avevo già avuto senza alcuna emozione il giorno prima».

Carla Colmegna

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