Tra Como e Cantù
la stessa delusione

E così siamo rimasti con il sedere per terra. Nel senso del grande sport di squadra del territorio. La Cantù del basket ha seguito le orme della Como calcitica: fuori al primo turno dei playoff.

Entrambe spazzate via al primo refolo di vento contrario. E noi siamo qui orfani e derelitti. Di fronte a un doppio lutto sportivo che non ci aspettavamo. Ok, qualcuno ci dirà che è l’occasione giusta per seguire con rinnovato interesse realtà meno famose, tipo la squadra di pallanuoto femminile di Como che sta sorprendentemente ottenendo la promozione in A1. Ma capirete che, pur con tutta la simpatia del mondo, non può essere la stessa cosa. Il Como e Cantù sono di un altro pianeta, calamitano l’interesse del mondo sportivo comasco, bene lo sappiamo noi che giornalmente ci occupiamo delle loro vicende. E il tradimento scotta.

Tradimento in senso buono, per carità. Ma sapete com’è: da quando la pratica dei playoff ha invaso anche il calcio (al di sotto della serie A), maggio e giugno sono diventati una specie giostra delle emozioni dalla quale è amarissimo sentirsi esclusi. Ci eravamo preparati ai palpiti, ai sussulti, ai brividi. C’era anche stato perfino un sottile filo di ( forse ingiustificato)ottimismo. E invece, una dopo l’altra, Como e Cantù si sono sgonfiate come un palloncino bucato. Lasciandoci orfani in attesa dei Mondiali di calcio.

E il paragone tra i due colossi del nostro sport non finisce qui. Perché c’è la famosissima crisi economica che trasforma ogni sconfitta in una possibile tragedia progettuale. Siamo tristemente abituati all’inquietudine nella vita di ogni giorno, e così capita anche per le vicende dello sport. Spiegata e digerita (nelle pagine interne) la parte tecnica e sportiva della sconfitta di Cantù,c’è chi si sarà domandato: «Sì, ma se adesso i Cremascoli si rompono le scatole?». Ecco l’inquietudine. Ci eravamo lasciati un anno fa con la conferenza stampa della famiglia proprietaria della Pallacanestro Cantù a lanciare il grido d’allarme: «Da soli non ce la facciamo più: o arrivano sponsor e soci, o qui diventerà dura». Di quel proclama, un po’ anche per istinto di sopravvivenza, ci eravamo volutamente dimenticati: canestri, successi, emozioni, protagonisti ci avevano dirottato fortunatamente altrove. Non vedere per non voler guardare. Ma il vuoto pneumatico che ci ha lasciato l’eliminazione traumatica dai playoff rischia di riportarci su certi temi. Il palazzetto, l’azionariato popolare, la voglia di ripartire, e se sì con quale budget e quali prospettive. Quello che è successo a Pesaro, Treviso e Siena fa intendere che non c’è nessuno nel gotha del basket che si può definire unto dal signore. E dunque speriamo di sentire, dopo il silenzio del giorno dopo, rassicuranti conferenze stampa sul futuro comunque impegnativo e mai scontato.

Lo stesso discorso vale per il Como. Dove la nuova (quasi nuova, và) società si fa in quattro per realizzare le basi di una di una realtà solida, con progetti e strategie (dobbiamo ammetterlo) non più basate sulle parole, ma su fatti (settore giovanile su tutto). Ma che ora deve affrontare e cercare di vincere la sfida più importante e più difficile. Quella con il successo sportivo, in una piazza che ha mandato segnali abbastanza chiari: non digerirà tanto facilmente un altro assalto mancato alla Serie B. Una volta le sconfitte partorivano solo rabbia e delusione. Oggi anche inquietudine sul futuro. Teniamo duro. E ora non ci resta che aspettare i mondiali.

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