Della Fiori family basket
Lui, il papà, la sorella

Daniele Della Fiori, all’indomani della sua conferma per altre tre stagioni alla Pallacanestro Cantù, si racconta come forse non ha fatto mai

l padre e il manager. Il figlio e il tifoso. Il marito e l’appassionato. Il fratello e il talent scout. Daniele Della Fiori, all’indomani della sua conferma per altre tre stagioni alla Pallacanestro Cantù, si racconta come forse non ha fatto mai. Senza filtri e/o risparmio di confidenze.

Che valore hanno questi tre anni in più in una piazza non qualsiasi, ma a Cantù?

Molto dal punto di vista personale, ancora di più da quello professionale. Non vorrei passare per banale, ma questa è casa mia. E, quando lavori nella tua città, tutto assume più valore. Professionalmente parlando, siamo impegnati a dare continuità al progetto, che è sportivo, societario e imprenditoriale. Ci aspetta tanto lavoro davanti.

Cos’è cambiato in questi diciassette mesi?

Dal punto di vista societario, la crescita è costante e ci stiamo sistemando appieno. Al mio arrivo era tutta un’incognita, nonostante la forza della nuova compagine, e ci si domandava spesso come potesse essere il futuro. Ora, con l’aiuto di tutti, ci sono maggiore stabilità, equilibrio e tranquillità.

Facile o difficile “vendere” la sua Cantù nel mondo?

Molto facile. Perché tutti hanno visto l’inversione di tendenza e soprattutto ci riconoscono autorevolezza.

Agli americani e ai loro agenti come gliela spiega?

Come un posto perfetto per fare pallacanestro. Città a misura d’uomo e calorosa, che non ti fa mai sentire solo per via del tanto affetto che c’è attorno alla squadra. In più, da qualche stagione a questa parte, un trampolino di lancio verso contratti e visibilità diverse dalle nostre. È accaduto con i giocatori dell’anno scorso e potrà succedere con alcuni di quelli di adesso. Ma si sappia, e non è retorica, che noi abbiamo l’ambizione di crescere fino a diventare un club dove ci si possa fermare e sviluppare una grande carriera.

Secondo lei, ci vorrebbe un corso di storia per i nuovi arrivati?

Importante è dare subito alcuni cenni, soprattutto per la tradizione. E anche gli americani stanno imparando ad apprezzare questa componente, visto che succede pure per Nba e Ncaa. Ma non c’è solo la storia, c’è bisogno che i giocatori apprezzino Cantù per quello che è oggi. Ovvero il miglior rapporto “dimensione della città-popolazione-livello di gioco” d’Europa.

Ma la storia che suo papà Ciccio l’avrebbe voluta in tutte altre professioni tranne nella pallacanestro è verità o romanzo?

Sicuramente, avesse potuto scegliere, mi avrebbe pensato lontano dal basket. Anche perché, da ex giocatore, ben conosceva quel limbo dove si sta quando smetti. Per fortuna lui è stato bravissimo e abilissimo a costruirsi una carriera lavorativa terminato di giocare. E di quel che ho poi combinato io, di sicuro, è contento e orgoglioso. Anche perché sto vivendo la pallacanestro con altre competenze.

Lei quando ha smesso di presentarsi come “Daniele, figlio di...”?

Tanto tempo fa. Quando giocavo nelle giovanili avevo molto somatizzato. Adesso mi fa solo piacere, d’altronde avere una medaglia olimpica in famiglia non è da tutti. E riusciamo a riderci anche su, soprattutto quando sottolineo che a riconoscerlo ormai sono solo quelli in là con l’età

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Il rapporto tra voi è fortissimo...

Papà è un esempio. Per quello che ha fatto anche dopo la grande carriera. Ciò che ha saputo costruire è il frutto delle sue straordinarie qualità. E a me ha trasmesso l’onesta, il rispetto, la bontà d’animo e la voglia di lavorare, doti che cerco di fare mie tutti i giorni. Lui, sempre positivo, pronto alla battuta e ad aiutare gli altri.

Se le dico Isabella, lei che mi risponde?

Mia sorella. Splendida. Siamo legatissimi. Lei è andata via di casa presto, a 18 anni per studiare a Venezia, e lì ho capito quanto le volessi bene. Una presenza costante, anche se capita di vederci poco. Ma entrambi sappiamo di avere una spalla sulla quale poter sempre contare.

Anche sua sorella è nel mondo del basket. In questo caso Ciccio cos’ha detto?

È una storia diversa. Lei aveva la voglia di girare e provare nuove esperienze lontano. E tra i tanti curriculum che ha inviato, i primi a rispondere per uno stage sono stati quella della Fiba a Monaco. Il basket, dunque, ci è entrato di striscio, anche adesso che si occupa degli eventi per la Federazione internazionale. Diciamo che è stata mossa dalla passione molto meno rispetto a quel che è capitato a me.

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