Pancotto, il derby val bene un selfie
«I miei amici non ci credevano...»

Il tecnico della San Barnardo Cinelandia si gode il successo contro Milano

La frase prepartita «dare valore ai valori» non era buttata lì a casaccio e soprattutto non era una frase grondante di retorica. Ci credeva davvero, in quelle parole. E i giocatori l’hanno seguito in questa sua domenica da “capopopolo”.

Che vittoria, anche per coach Cesare Pancotto. Al suo primo derby Milano-Cantù, il tecnico in attività con più panchine in serie A ha tradotto – o meglio, fatto tradurre alla squadra – le sue parole in atteggiamenti, mentalità e determinazione. Insomma, è riuscito a scatenare quel fattore in più che ha spinto la sua Cantù all’inizio, che l’ha sostenuta nel momento di difficoltà e che l’ha trascinata nell’emozionante finale di partita.

«Tutto merito della squadra – dice il tecnico –, che ha saputo mettere davanti a sé una bandiera. Sì, perché davanti a noi c’era un vessillo». Un derby che Pancotto attendeva e che ha vissuto non come tante altre partite: «Ne ho assorbito tutte le emozioni. Il coach è un faro per i suoi giocatori e deve sprigionare sempre la stessa luce. Stavolta è andata ancora meglio: grazie al nostro pubblico, grazie a Cantù che mi ha permesso di vivere questo tourbillon emotivo».

Sapeva che c’era attesa, sapeva quanto i canturini tengano a questa sfida. I segnali gli sono arrivati forti e chiari fin dal suo arrivo in Brianza: «È mia abitudine ascoltare tutti quando arrivo in una società nuova. Mi piace capire e assorbire i valori che ci sono, per poi trasmetterli alla squadra. E questo derby vale ancora di più, sapete perché? Perché ha fatto da cassa di risonanza per far conoscere e quindi valutare la Cantù attuale».

Perché Cantù e Milano le conoscono tutti, in Italia e in Europa «ma era giusto arrivare a far capire che Cantù ha una storia, e si sa, ma che noi ora siamo questi. Una squadra che non si arrende, che cresce, che è riuscita a ripartire quasi da zero dopo una rovina».

Tanta la gioia collettiva a fine partita che, pure lui, si è piegato al volere della squadra che lo voleva in prima fila per il “selfie” celebrativo: «Mi hanno chiamato immediatamente i miei amici, non ci credevano. Scherzosamente, a loro ho detto che mi hanno spinto nella foto. Ma stavolta non potevo proprio sottrarmi, era giusto esserci anche nei confronti del pubblico».

L’ovvio clima da torcida non allontana però Pancotto dagli obiettivi: «Passata la festa, rimangono due punti importanti, maggiore fiducia in noi stessi e la consapevolezza che il lavoro dei giocatori e dei collaboratori viene ripagato con serate come quella di domenica. Il campionato però va avanti».

Come? «Meglio, ma con nuove sfide. Dopo un girone di andata sopra le aspettative, si riparte con un girone di ritorno “matrioska”: ci sono involucri nuovi da scoprire, consapevoli che bisognerà alzare il livello di competitività. Inoltre dobbiamo completare la nostra crescita e l’inserimento di Ragland nei giochi. Perché alla fine, abbiamo una “mission”, ossia una salvezza da raggiungere».

Perché, sempre secondo il Pancotto-pensiero «vittoria significa investire sul lavoro e non riscuotere illusioni: noi, per ora, non possiamo ancora riscuotere nulla».n 

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