Zorzolo: «Io, cuore canturino
Grazie a un’intuizione di Lambruschi»

L’ex ala biancoblù si racconta: «Fu lui s scoprirmi in un camp»

Una mosca bianca. Non c’è alcuna allusione alla tonalità della sua capigliatura (che pure è quella...), quanto piuttosto al fatto che è tra i rarissimi giocatori della sua generazione ad essersi fermati a vivere a Cantù a fine carriera. «Qui ho trovato l’amore oltre al territorio ideale per dar sfogo alle mie passioni sportive, dalla corsa in montagna al kayak, al nuoto. In un attimo sei al lago e sui monti. A proposito di sport praticati, in verità faccio un po’ di tutto, ma confesso altresì che faccio tutto male...». Alessandro Zorzolo ha giocato con la maglia canturina per 11 stagioni. Più fedeli alla causa sono stati soltanto alcuni mostri sacri quali Marzorati, Recalcati, Riva, Bosa e Cappelletti.

Questo per dire che “Zorro”, pur non essendo stato un big («e sono io il primo a riconoscerlo») la sua parte l’ha fatta nella storia del club. «Fu Giannino Lambruschi a notarmi nel corso di un camp a Caspoggio quando giocavo nelle giovanili di Novara e a segnalarmi al patron Allievi - racconta Zorzolo -. C’era stato in precedenza un interessamento anche della Virtus Bologna, ma poi la scelta si era ristretta a Milano e Cantù. Fu mio padre a decidere per Cantù dopo che la mia famiglia era stata avvicinata da Gianni Corsolini. E così, abbondantemente minorenne, ecco iniziare la mia storia di amore e di basket in Brianza».

Quattro i diversi periodi nei quali l’ala grande piemontese ha giocato da queste parti. «Ma i veri miei anni - confida - sono stati quelli della terza tranche, vale a dire le sei stagioni tra il 1994 e il 2000. Devo ammettere che soprattutto grazie ai tanti infortuni di Beppe (Bosa, ndr) sono riuscito a ritagliarmi un certo minutaggio... Le sue sfortune, insomma, sono state le mie fortune. Sono (ri)tornato l’anno successivo alla caduta in A2 - a proposito in carriera vanto zero retrocessioni a fronte di diverse promozioni dalle svariate categorie in cui ho giocato - e dopo il colpo al cuore infertoci da Capone nella “bella” del Palalido devo dire che la stagione seguente siamo tornati su alla grande».

«Non ero un giocatore di talento - prosegue -, ma credo di essere stato bravo a costruirmi e di aver fatto una discreta carriera. In quegli anni a Cantù ti sentivi la maglia addosso e nonostante fosse stato da poco introdotto il professionismo, noi giocatori ci sentivamo legatissimi alla società. La frase sarà anche abusata, ma eravamo davvero una vera famiglia. Era emozionante giocare, ed è stato bello esserci. Ancora adesso, a distanza di così tanto tempo, ci vediamo e sentiamo spesso noi vecchi compagni di squadra».

Nel 2005-06, coach Sacripanti le offrì un’altra occasione a Cantù. «Ero senza squadra, avevo chiesto a Pino di potermi allenare con loro durante la fase della preparazione precampionato in attesa di trovare una nuova sistemazione. Accadde poi che il giovane prospetto lituano Katelynas si infortunò e coincidenza volle che essendo io già lì e occupando il suo stesso ruolo, mi fecero dapprima un contratto di tre mesi, prolungato poi sino al termine della stagione».

«Con la massima onestà - puntualizza -, il campo non l’ho praticamente mai visto ma non ho mai ritenuto di essere tornato solo per svernare. E, unitamente a Dan Gay, penso di aver interpretato al meglio il ruolo di collante che Pino ci aveva chiesto».

In precedenza era intanto già sbocciato anche il vero amore, non solo quello per la Pallacanestro Cantù. «Frequentavo una compagnia esterna al basket anche per staccare un po’ e non vedere sempre le stesse persone. Ed è così che nel 1991 ho conosciuto e iniziato a uscire con Alessandra, una ragazza di Carimate, che nel 2007 sarebbe diventata mia moglie. Nel 2008 è nato Andrea che non sta seguendo le orme di papà visto che gioca a calcio a Montesolaro».

«Faccio il portinaio...»

“Zorro” ha chiuso definitivamente con il basket («Vero, frequento poco l’ambiente, al palazzetto vado di rado e quando capita mi accomodo in piccionaia. E poi, senza per carità voler fare il gradasso, in questa pallacanestro non mi riconosco più») e ha intrapreso una nuova attività.

«Avevo due progetti che mi solleticavano - fa sapere -: gestire una palestra oppure uno studio medico. È andata per quest’ultimo e così da una decina di anni mi occupo di una struttura polispecialistica a Cantù con un buon numero di medici. Ufficialmente ne sono l’amministratore, ma nella sostanza svolgo più la funzione di portinaio, occupandomi un po’ di tutto. Mi sono anche ritagliato il ruolo di personal trainer all’interno di una palestrina che ha sede nella struttura stessa. Tutto ciò mi prende tanto tempo, ma mi piace e sono felice».

Dicono che non la si veda spesso in giro per Cantù. Corrisponde al vero? «Sì, non faccio molta vita sociale, frequento poco i locali ma amo questa città per ciò che ha rappresentato e continuerà a rappresentare per me».

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