Il cioccolato puro non ha l'ok
Anche se lo è, la Ue dice no

La Corte di giustizia europea condanna l'Italia per la dicitura che, secondo la normatica comunitaria, discriminerebbe i prodotti che contengono grassi vegetali sostitutivi al posto del burro di cacao. La legge Ue non prevede indicazioni diverse sulle etichette

La Corte europea di Giustizia ha condannato l'Italia per la sua normativa che obbliga a usare la denominazione "Cioccolato puro" sulle etichette del cioccolato che non contiene altri grassi oltre al burro di cacao.
Una direttiva Ue del 2000, aveva autorizzato gli Stati membri a usare nel cioccolato fino al 5% di grassi vegetali sostitutivi del burro di cacao, alla sola condizione di indicarlo chiaramente nella lista degli ingredienti.
La direttiva, caso davvero singolare nella storia comunitaria, aveva sostanzialmente trasformato in regola vincolante per tutti gli Stati membri un'eccezione che era stata inizialmente concessa ai soli paesi entrati più tardi nella Comunità europea (in particolare Gran Bretagna e paesi nordici), che commercializzavano su loro territorio cioccolato contenente i grassi sostitutivi, meno cari del burro di cacao.
Elaborata dalla Commissione sotto le pressioni delle multinazionali del cioccolato (come la britannica Cadbury, la belga Callebout, la svizzera Nestlé), la direttiva era stata approvata a maggioranza qualificata dal Consiglio Ue, con il voto favorevole dell'Italia (governo di centrosinistra). Anche il Parlamento europeo l'aveva approvata fra le polemiche, e sul voto si erano persino spaccati i Democratici di sinistra.
L'Italia, dopo le proteste dei consumatori e dei '"puristi" del cioccolato, aveva varato una normativa che prevedeva la dicitura "Cioccolato puro" nelle denominazioni di vendita, o l'aggiunta di questa indicazione in altra parte dell'etichettatura dei prodotti che non contenevano grassi vegetali sostitutivi. La normativa prevede anche ammende da 3.000 a 8.000 euro in caso di violazione.
La Commissione europea, ritenendo che il consumatore è informato sufficientemente sulla presenza o meno nel cioccolato di grassi vegetali sostitutivi mediante la lista degli ingredienti, e che fosse sproporzionato e contrario alla direttiva l'impiego di una distinta denominazione di vendita, aveva deferito allora l'Italia alla Corte Ue, che ora le ha dato ragione. Secondo la Corte, l'aggiunta di grassi sostitutivi a prodotti di cacao e di cioccolato che rispettano i contenuti minimi previsti dalla normativa Ue non può produrre l'effetto di modificarne sostanzialmente la natura, al punto di trasformarli in prodotti diversi e, di conseguenza, non giustifica una distinzione delle loro denominazioni di vendita.

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