Ancora qualcuno

Se la mia opinione contasse qualcosa, potrei dire che il Festival di Sanremo è bello anche perché qualche volta è brutto. Siccome trattasi di uno spettacolo leggero, di “evasione” come dicono a Rebibbia, non ha in realtà importanza che sia, appunto, bello nel senso di elevato, profondo (è curioso come certe qualità sostanziali abbiano riferimenti altimetrici), intelligente e illuminante. Basta che sia divertente e il Festival a suo modo lo è: qualche volta perché così lo vogliono i suoi autori, altrettanto spesso per gli orrori kitsch che esibisce, come dire?, a sua insaputa.

Non comprendo dunque l’atteggiamento dei detrattori più violenti. Sarà forse che per manifestare il nostro dissenso siamo ormai avvezzi a fare uso di espressioni “tranchant”, se non addirittura sprezzanti e, comunque, radicali. Tra queste - e l’ho sentita applicare appunto al Festival - quella che, con insolente incredulità, chiede: «Ma c’è ancora qualcuno che lo guarda?» La formuletta è declinabile in più modi, a seconda delle esigenze: «Ma c’è ancora qualcuno che la pensa così», oppure «che vota per quel partito», «che crede a quel politico», eccetera.

Comunque venga coniugato, è sempre un commento rozzo e intollerante, sbrigativo e sostanzialmente vuoto. Lo muove un intento prepotentemente esclusivista che vorrebbe condannare i portatori di una certa idea - così come di certi gusti, opinioni e abitudini - a un’estinzione alla quale loro, poveri esseri ottusi rifiutati dalla realtà, non sanno rassegnarsi.

Che lo si usi per bollare la platea del Festival è il male minore: basta alzare il volume - magari quando sul palco c’è Robbie Williams - e l’intollerante sgorbio si dissolve. Peggio è quando lo troviamo impiegato nel tentativo di aspirare l’ossigeno del dialogo, della diversità, della pura e semplice libertà di pensare e perfino di sbagliare. Ma, forse, per vanificarlo basterebbe alzare il volume della civiltà.

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