Che la guerra in Vietnam ci porti finalmente la pace

Posso avere un’idea approssimativa di come avete trascorso il Natale, nella convinzione che inserendo nel quadro un panettone e una certa pesantezza di stomaco nel primo pomeriggio è quasi impossibile sbagliare.

Certamente mi auguro che, nel complesso, siano state ore piacevoli e serene. Quanto a me, tutto bene grazie. Il Natale, e le giornate successive, sono trascorse nel tepore domestico, tra decorazioni, musiche natalizie, qualche piatto ipercalorico, un intenso turbinare di pale d’elicottero, raffiche di mitra, bombe a mano e un fitto sbarramento d’artiglieria.

Se trovate questi ultimi ingredienti non particolarmente natalizi, è perché ho trascurato di aggiungere che nella pausa festiva mi sono dedicato alla visione delle oltre 17 ore di “The Vietnam War”, il documentario in dieci capitoli realizzato da Ken Burns e Lynn Novick per il network pubblico americano Pbs, ora disponibile in streaming anche su Netflix.

Diciassette ore, devo dire, spese più che bene: sono riuscite a riconciliarmi non certo con la guerra, tutt’altro, ma con il giornalismo e la ricerca storica. In dieci anni di lavoro i produttori di “The Vietnam War” hanno intervistato decine di testimoni (nel film ne vengono presentati 79, sia dal campo americano-sudvietnamita sia dal campo nordvietnamita-Vietcong) e passato in rassegna un’impressionante mole di immagini: 24mila fotografie, 1.500 ore di filmati d’archivio. Uscito poco più di un anno fa, il documentario ha suscitato reazioni irritate sia da destra sia da sinistra (segno, con tutta evidenza, di un lavoro condotto con indipendenza di giudizio), ma soprattutto, almeno secondo i critici più sensibili, ha dimostrato che è ancora possibile raccontare con partecipazione ed equilibrio, oltre che rigore e passione, capitoli di storia anche incredibilmente complicati e controversi come, appunto, quelli scritti con mitragliatrici e napalm in Vietnam.

Concedendosi uno spazio in apparente controtendenza con l’attuale tendenza a fornire ogni cosa in pillole, compresa l’informazione e il commento, il film si occupa della guerra nel suo complesso: dalle premesse alle conseguenze, passando per le scelte politiche, la strategia militare, l’impatto sociale, il dettaglio quotidiano di chi l’ha vissuta al fronte e a casa. Con diciassette ore di documentario, Burns e Lynn hanno eretto un monumento al desiderio di capire, e non semplicemente di “farsi un’idea”, di formarsi un’opinione, e non di trovare opportunistica conferma ai propri pregiudizi, aiutando lo spettatore, infine, a setacciare informazioni utili a interpretare il passato, il presente e, in qualche misura, perfino il futuro.

Diciassette ore rappresentano una specie di sproposito per una serie che non ha da offrire cliché cinematografici o colpi di scena studiati a tavolino, ma scorrendole si scopre che non un secondo è sprecato, non un’intervista superflua e non uno spezzone d’epoca ridondante: “The Vietnam War” risveglia il nostro migliore istinto di esseri che, dotati di intelletto e senso critico, vogliono comprendere ciò che è accaduto per ricavarne un senso di partecipazione e di umana solidarietà e per sentir nascere in sé un vivo desiderio di pace. La miglior cosa, tra l’altro, da augurare a tutti per l’ormai prossimo 2019.

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