Fulminee gratificazioni

Requisiti per entrare in empatia con la situazione che tra poco verrà descritta sono tre: essere vivi, avere degli amici e/o colleghi, possedere uno smartphone. Ci siamo tutti? Direi di sì. E dunque tutti, prima o poi, saremo rimasti coinvolti in uno di quei fitti scambi di comunicazioni (messaggi, telefonate, mail) per cercare di fissare un appuntamento: minimo a due – ovvio – spesso a tre, quattro e più. Scambi fittissimi, dicevamo, e non di rado spiazzanti, che neanche Nadal e Federer. C’è chi è d’accordo sull’ora e non sul posto e chi viceversa. C’è chi è d’accordo su tutto ma vuol sapere se il ristorante ha la scelta per vegani e, infine, c’è chi “se viene quella/quello là non vengo io”. Alla fine, quasi sempre, un accordo si trova e allora è un profluvio di emoji trionfanti: pollici alzati, baci, tappi di champagne.

Ma c’è anche il caso che non si riesca, come si dice, a “quagliare”. L’incontro è rinviato: “Sentiamoci più avanti”, “La prossima settimana”, “Quando siamo tutti più liberi”. A questo punto, se siete schietti e onesti come Maggie Puniewska che sul tema ha scritto per thecut.com, dovete ammettere che questi rinvii o queste rinunce provocano in voi un senso di sollievo: “Di soddisfazione, addirittura”. In tempi “social” l’apertura inaspettata di uno spazio non programmato, ovvero personale e potenzialmente al riparo dell’interazione, è vista – meglio: è sentita – come una piccola, istantanea felicità. L’unica possibile, peraltro, in un’era che vive di fulminee gratificazioni.

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