Il perduto essere

L’altro giorno la redazione di un giornale nazionale si è dovuta scusare perché, sotto un post della sua pagina Facebook è spuntato un commento piuttosto pesante, anzi un vero e proprio insulto al leader dei 5 Stelle Beppe Grillo. Il problema è che l’insulto è apparso a nome della testata, ovvero prodotto dall’account ufficiale del giornale.

Scuse dovute e sacrosante, ovviamente, ma la dinamica dell’accaduto è chiara: qualcuno che ha accesso a due o più account, tra cui quello del giornale, ha pubblicato un commento usando per sbaglio il profilo ufficiale invece di quello privato. Un’uscita personale – anche se, visto il contenuto, comunque inopportuna – è così diventata motivo di imbarazzo per l’intera testata.

Ciò detto, il caso sarebbe chiuso se non offrisse la possibilità di riflettere sul potenziamento della schizofrenia sociale esercitato dalla Rete. Non è raro, oggi, che le persone abbiano in gestione più profili sui social network: uno personale, uno di lavoro, uno riservato agli amici con cui si condivide un hobby e a volte perfino quello “clandestino”. Ognuno di questi profili richiede un’impostazione specifica, un linguaggio ad hoc e, in definitiva, una “voce” unica e originale. Tuttavia, incrociare i fili di questo tipo di comunicazione è facile e, come abbiamo visto, disastroso.

Non che la schizofrenia sociale sia un fenomeno nato nell’era di Internet. A tutti noi, nella vita, sono assegnate più parti: fuori casa portiamo la maschera legata alla professione – medico, ragioniere, operaio, impiegato, commerciante -, in casa quella di marito, moglie, padre, madre, figlio. Con gli amici ci caliamo in un altro ruolo ancora. Tutto va bene – ovvero ci muoviamo tra i ruoli quasi senza accorgercene – fino a quando questi mondi restano separati. Se invece entrano in collisione, proviamo disagio. Amici di diverse “sfere” che si incontrano, colleghi che per la prima volta ci vedono in veste casalinga: ecco che di colpo ci sentiamo fuori posto, come metà che non combaciano, attori buttati sulla scena vestiti un po’ da Arlecchino e un po’ da Riccardo III.

La circostanza è ancor più disagevole perché in quel momento ci rendiamo conto, con disperazione, che non siamo né l’uno né l’altro e il nostro vero essere è lontano e disperso: una possibilità forse perduta per sempre.

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