L’Era del Refuso

Mi lancio nel campo delle previsioni annunciando ai miei quattro lettori un’evenienza che forse troveranno interessante. Dimenticate il Cenozoico, il XXI Secolo, l’era-Trump, la stagione digitale o qualunque altra definizione abbiate sentito applicare al tempo corrente. L’unica che si adatta al presente - e che probabilmente definirà il futuro - è infatti quella di Era del Refuso.

Lo affermo sulla base di alcune osservazioni sostanziali. La prima è che, come i quattro lettori di cui sopra hanno spesso avuto modo di constatare, questo spazio non è certo al riparo da imbarazzanti incidenti tipografici (ovvero da sciagurati inciampi di battitura del sottoscritto); la seconda - costruita su orizzonti ben più ampi - è che ormai non c’è più sede in cui non si commettano erroracci grossolani.

Qualche esempio raccolto giusto nelle ultime ore.

Stati Uniti: il Ministero dell’Istruzione lancia un “tweet” con una citazione di William Edward Burghardt Du Bois, attivista e storico morto nel 1963. Problema: ne storpia il cognome in De Bois. Poco male, il Ministero rimedia subito con un “tweet” di scuse che però a sua volta contiene un refuso.

Ancora: il poster ufficiale della cerimonia di inaugurazione del presidente Trump presenta un errore: “to great” invece di “too great”. Una “o” in meno che fa tutta la differenza.

Passiamo oltre per dimostrare che il refuso, in senso ampio, non è di esclusiva pertinenza tipografica. Prima di un incontro della Fed Cup di tennis, negli Usa, alla presenza della squadra tedesca, è stato suonato l’inno della Germania. Non quello attuale, ma la versione usata durante il Terzo Reich. Imbarazzo, scuse e notizia riportata dal sito della Cnn che, in calce all’articolo, precisa: «In una precedente versione di questo servizio è stata pubblicata una foto sbagliata della tennista Andrea Petkovic». Come dire: non c’è più modo di riemergere dal gorgo di sviste e approssimazione. Benvenuti dunque nell’Era del Refoso.

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