Paura da bagno

La lettura delle notizie, così come la lettura della realtà, è per noi tutti un’esperienza soprattutto emotiva. Alla notizia di un attentato che ha provocato vittime reagiamo con orrore, commozione, rabbia: tutte emozioni ad alta intensità. Se invece apprendiamo di un attentato fallito le emozioni di cui sopra scendono di un gradino o due, forse anche di più: dopo tutto non ci sono state vittime, quindi «non è successo niente». Invece, qualcosa è successo: un atto fallito è meno grave di uno compiuto, questo è certo, ma pure testimonia della volontà di far del male.

Ma noi abbiamo dei valori emotivi precisi e a essi rispondiamo con coerenza. È quando i segnali sono confusi che l’emotività va a spasso con l’assurdo.

Nei giorni scorsi uno straniero si è infilato con l’automobile in una spiaggia di Marina di Pietrasanta provocando, come ovvio, un fuggi-fuggi generale. Pare che non volesse far del male a nessuno e in effetti nessuno si è fatto male: voleva solo arrivare in riva al mare con l’auto, in preda a non si sa quale strampalata convinzione che ciò fosse consentito.

Passata la paura i bagnanti non l’hanno presa con sportività: alcuni di loro hanno tentato di linciare lo straniero come fosse a tutti gli effetti un terrorista e non un balengo generico. Segno, diranno alcuni, che l’esasperazione della gente è al livello di guardia e che la paura, una volta sciolto il guinzaglio, non guarda in faccia a nessuno. Forse non aspetta altro: perfino quando è in costume da bagno.

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