Chiamatela spending bike

Si spiega così – ma non solo così, forse – la decisione della società di Lissone di rinunciare, dopo 33 anni, alla Piccola Agostoni per dilettanti under 23, uno di quegli appuntamenti considerati immutabili nel tempo. Come il Giro d’Italia e il Lombardia per rimanere nel ciclismo. Come il forum Ambrosetti per l’economia, la messa delle 11 su Rai Uno per la televisione. Con la corsa di Lissone sparirà anche la Coppa Colli Briantei, classica internazionale di Sovico, per non parlare della “Bugno” di gran fondo scomparsa da tempo e, per allargare l’orizzonte oltre il naso, della “Gimondi” di Bergamo.
Un brutto momento, per il ciclismo. E, per paradosso, che va in controtendenza alla voglia di bicicletta, testimoniata dal numero sempre crescente di appassionati della domenica (come noi) ma anche, e soprattutto, da una predisposizione culturale diversa rispetto all’uso delle due ruote. Certo c’è sempre l’automobilista che – nel suo sogno più proibito e irreale – ci passerebbe sopra con le quattro ruote (con tanto di retromarcia), ma ce ne sono tanti , di forzati delle quattro ruote, che invidiano quanti si possono spostare in agilità senza essere costretti – storia di mercoledì mattina – a 70 minuti di coda per andare da Vimercate a Monza. Non è un caso, giusto per rimanere in tema, che i negozi di articoli vivano in una sorta di piccolo mondo dorato e che le aziende specializzate stiano in cima alle classifiche delle top society.
Da un lato si taglia nello sport e, dall’altro, si investe? Eppure, se ci pensate bene, non è una contraddizione in termini. La realtà è che al giorno d’oggi l’organizzazione di una manifestazione ciclistica presuppone investimenti di denaro e di uomini che vanno al di là di ogni umana disponibilità al volontariato. Quintali di scartoffie – alcune importanti, molte altre farlocche – da compilare, responsabilità sempre crescenti, problemi viabilistici quasi insormontabili, una rete viaria dove la buca è sempre in agguato e quasi sempre non viene coperta se non laddove si ha la fortuna di ospitare una tappa del Giro d’italia, che la figuraccia sarebbe a reti unificate e quindi si può ben rompere il salvadanaio.
Ho tanta ammirazione per quegli uomini e quelle donne. Ho visto decine di volte che cosa significa blindare un percorso. Lo scorso agosto, di prima mattina, ho fatto il percorso della Agostoni e ho visto decine di persone intente a piazzare cartelli, striscioni, materassi lungo le strettoie e, quando del caso, anche a piazzare una badilata di asfalto nei punti più oscenamente dimenticati da comuni e province.
Per questo, quando leggo – come oggi su il Cittadin o – di chi alza bandiera bianca, mi viene un po’ di magone. Sarò un sentimentalone d’altri tempi, ma quelle carovane colorate fatte di ragazzini con le cosce di marmo, di anziani entusiasti sul ciglio della strada, di macchine sgargianti con le biciclette sopra, sono simboli di una libertà che soltanto chi va in bicicletta (o fa qualsiasi altro sport) può capire fino in fondo. Ah, dimenticavo. Non credete a chi vi dirà che è il doping a far passare l’entusiasmo per il ciclismo. Non ci sono riuscite le partite comprate e vendute con il calcio, pensate che per qualche furbetto dell’Epo facile valga la pena di rinunciare al vento in faccia? Ma va là…
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