Ciclisti e caporali

Adesso che ci penso non l’ho neppure ringraziato. Mi riferisco al collega del Gs Avis di Seregno con il quale, domenica mattina, ho salito l’adorato Ghisallo, meta perfetta di una giornata con il cielo più blu del blu, terrazza fantastica e imparagonabile tra il lago e i monti. L’ho incrociato, insieme ad un gruppetto della società brianzola, nei dintorni di Onno e mi sono messo a ruota. Dopo le prime rampe, il gruppetto si è inevitabilmente sciolto perché non c’è ruota che tenga quando la strada si mette in verticale e, al posto delle buone intenzioni, ci vogliono le gambe. Da fuggitivi, ci siamo ritrovati subito dopo i Mulini del Perlo, che sarebbe il punto più impervio dell’ascesa e siamo andati di buonissima armonia fino al santuario. A dire il vero, era lui a dettare il ritmo ed è probabilmente per questo che, nel mio piccolo, ho segnato il miglior tempo stagionale.

E qui volevo arrivare. Al momento della sosta alla mitica fontanella, mi sono sentito orgoglioso del tempo fatto, sia pure valutato al netto dell’età, della vita da (non) atleta e di tutto ciò che non fa parte del bagaglio di un professionista. E mi sono ritrovare a pensare che, fino a qualche anno fa, era rarissimo che mi capitasse di raggiungere e superare di slancio qualche compagno di ventura, soprattutto in salita. Mentre adesso, di tanto in tanto, mi capita di mostrare orgogliosamente il mio lato B. Di qui il dubbio: un pensiero simile non dovrebbe far parte del bagaglio di un cicloturista. O forse sì?

Non che la domanda mi abbia turbato la domenica (mi ha fatto più effetto la rovinosa caduta della rocha contro il Brasile) ma, lo ammetto, vi ho dedicato qualche minuto mentre scendevo verso Barni. In particolare mi sono tornati alla mente i bellissimi servizi che i giornali avevano dedicato il sabato precedente alla Maratona delle Dolomiti, la mitica gran fondo alla quale spero (come avvenuto con la Nove Colli di Cesenatico) di poter avere accesso il prossimo anno. Su La Stampa, se non ricordo male, c’era un’istruttiva intervista al signor Pinarello, una persona che nel mondo del ciclismo ha la stessa importanza di Montezemolo quando parli di Formula 1. Costruttore di biciclette ma anche consumatore finale – nel senso che pedala, si capisce - sarebbe stato al via della Gran Fondo. E al giornalista che cercava di cavarne una battuta qualsiasi per un titolo, se n’è uscito con una frase di grande spessore che – ai miei occhi – dà il senso dello sport. “Noi non siamo corridori, siamo solo ciclisti”.

Non è finita nel titolo, quella battuta, ma c’è tutto, dentro quelle parole, ed è ancora più importante che siano uscite dalla bocca, dalle mente e dal cuore di un uomo che vende biciclette da sempre e che avrebbe potuto approfittare dello spazio per uno spottone gratuito. E ve lo dico senza retropensieri, visto che – dopo una fantastica Scott – pedalo con una altrettanto fantastica Bianchi…

C’è tutto, dicevo. Perché è vero, noi non siamo corridori. E quando la ricerca della prestazione si fa ossessiva – capita, capita – si finisce per perdere il significato più intrinseco del pedalare. Per quanto ci si sforzi e si facciano sacrifici, infatti, il risultato non sarà mai uguale a quello di un corridore. Vuoi per l’età, la famiglia, le qualità genetiche intrinseche, l’allenamento e un milione di altre cose. Pensare di scimmiottare chi è del mestiere, mi ricorda il farmacista che – siccome fa cool avere il nome stampato – collabora con il giornale locale e si lamenta se un professionista gli taglia un rigo di troppo. Leggevo qualche tempo fa che il migliore dei cicloamatori non sarà mai come il peggiore dei professionisti neppure su un cavalcavia dell’autostrada. E ci sarà un perché.

C’è tutto, nelle parole di Pinarello, perché noi siamo soltanto ciclisti. Che danno un valore alla propria attività, ci mancherebbe altro, che guardano il cronometro quando c’è una salita da fare, che cercano di alzare l’asticella del proprio limite perché fa parte dell’animo umano e perché la vita è un continuo traguardo da raggiungere. Ma che, prima di ogni cosa, vanno in bicicletta perché l’aria in faccia li fa sentire bene e meglio. Uomini e non caporali, come diceva quello...

Concludeva, il signor Pinarello, che lui non rinuncerebbe mai a un buon bicchiere di vino e a un panino al salame. Io sono astemio e gli insaccati non li digerisco se non con un litro di Coca Cola fredda di frigorifero ma – credetemi – sono con lui. Se non con il palato, di certo con lo spirito.

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